I risultati sono definitivi. E per la galassia della sinistra-sinistra che si è presentata al voto, quella che raggruppa LeU, Potere al popolo, Partito comunista e Per una sinistra rivoluzionaria, si conferma un bottino magrissimo: non si arriva al 5% dei consensi. Molte sigle e sempre più divise.
Così come è molto divisa la Cgil chiamata ad affrontare la sfida della successione a Susanna Camusso. Tre gli sfidanti che ad oggi si profilano per la segreteria generale, il congresso, previsto inizialmente per maggio 2018, è stato rinviato poi di otto mesi: Serena Sorrentino, giovane segretaria della potente Fp-Cgil, è la candidata appoggiata dalla stessa Camusso, di cui ha condiviso le battaglie su Jobs act e pensioni; Maurizio Landini, battagliero ex segretario dei metalmeccanici della Fiom, capace di dialogare con i movimenti e la sinistra sociale; Vincenzo Colla, segretario dell'Emilia Romagna, co-protagonista della firma di alcuni accordi con il governo (Industria 4.0), considerato un innovatore che però non dispiace ai potenti pensionati cigiellini.
Per la prima volta nella storia della Cgil, tre candidati. E per la prima volta il congresso si terrà in un quadro politico anomalo, in cui manca un partito di riferimento chiaramente ascrivibile alla sinistra. La borghesia ha votato per la sinistra, gli operai per la destra, intesa come Movimento5stelle e Lega, dicono da Corso d'Italia. Un dato con cui, pur nell'autonomia sempre rivendicata del sindacato rispetto ai partiti, anche la Cgil ora dovrà fare i conti.
Il feeling con il Pd, anche se non è mancato chi si è speso per il sì al referendum costituzionale, si era guastato da tempo, sotto i colpi delle politiche di Matteo Renzi, dal lavoro alla scuola. Confinato sotto il 20%, oggi l'autoanalisi del Pd è che «siamo diventati il partito dei salotti», dice Cesare Damiano, ex segretario dei metalmeccanici della Cgil e oggi esponente della minoranza dem.
Una parte cospicua del gruppo dirigente della Cgil sperava di trovare una sponda politico-parlamentare in LeU. Liberi e Uguali, nato dalla scissione dei bersaniani di Mdp dal Pd, e che raggruppa anche Sinistra italiana e Insieme. Sotto la leadership di Pietro Grasso era partito con l'ambizione di un risultato a due cifre, si è fermato al 3,38%. Quanto fatto dalla sola Sel nel 2013. Nessun appoggio ufficiale a Pier Luigi Bersani, non è nello stile del sindacato, la Camusso era presente all'assemblea dei bersaniani di rottura con il pd, i bersaniani hanno fatto propria la proposta di legge della Cgil per il ripristino dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, per la quale Corso Italia aveva raccolto oltre 3 milioni di firme. Non è bastato a intercettare i voti del popolo di sinistra.
L'alternativa elettorale era Potere al Popolo, sostenuta tra gli altri da Rifondazione Comunista, da un gruppo di attivisti di un centro sociale di Napoli e da molti sindacalisti di base (Cobas e Usb). Si ispira agli spagnoli di Podemos ed è impegnata a creare una rete di collegamento sul territorio che intercetti i movimenti: ha raggiunto l'1,13% dei consensi. Un punto di partenza, dicono, per costruire un partito di massa della sinistra. Molte ambizioni anche per Per una sinistra rivoluzionaria, che però si ferma allo 0,08%. Meglio ha fatto il partito comunistra di Marco Rizzo: 0,32%. Altri non classificati.