Rimpasto nel congelatore
Tutto congelato. Se ne riparlerà dopo Pasqua: le condizioni poste dagli assessori dimissionari Donato Di Matteo e Andrea Gerosolimo per continuare ad appoggiare la maggioranza hanno trovato porte aperte ieri pomeriggio nella riunione dei capigruppo convocata dal vice presidente della Regione Abruzzo Giovanni Lolli e anche qualche sponda in chiave anti-dalfonsiana da parte di Marinella Sclocco ma occorre tempo, altro tempo. Non solo per riferire al grande capo, ieri assente per il suo primo giorno da senatore a Roma, ma anche per trovare il modo di trattare, concedere qualcosa e ottenerne qualche altra. Il rimpasto quindi slitta ad aprile, nel frattempo verrà chiesto a Giuseppe Di Pangrazio di sospendere la convocazione del consiglio regionale previsto per martedì prossimo (è da dicembre che non si riunisce), e si spera che per quella data anche Dalfy si sarà dimesso.
E Dalfy non molla la presa
Ma lui no, non ha nessuna intenzione di mollare la presa, di farsi da parte, di dimettersi. E non è solo perché due stipendi sono meglio che one, e che stipendi poi. Ma perché Luciano D’Alfonso, presidente della Regione e senatore d’Abruzzo, che ambirebbe a fare il questore del Senato e che si muove come se avesse vinto l’Oscar come migliore attore e invece a malapena è stato promosso con la sufficienza (e per di più grazie alla blindatura modello Cepu), deve mantenersi tutte le porte aperte. Primo, perché a Roma non si sa come andrà a finire, se si tornerà a votare e quando e lui a quel punto dovrà trovare qualcuno che lo candidi una seconda volta ben sapendo però che la famosa carrettata di voti annunciata e promessa si è rivelata una clamorosa bufala.
Dalfy e Gerosolimo
Secondo, perché alla Regione si tornerà a votare di sicuro e Dalfy anche dalla sua poltrona da senatore vuole essere sempre lui a dare le carte, non solo perché ha promesso mari e monti ai suoi sostenitori ma perché, tramontato il sogno dell’Abruzzo al governo e consolidata la certezza di annegare nel mare magnum dei peones senatoriali, non gli resta che la speranza di riuscire a contare ancora qualcosa in Abruzzo. Per questo vuole impedire a tutti i costi che Marco Rapino, il segretario regionale del Pd che in queste elezioni ha perso tutto e anche la faccia, si dimetta: è lui l’unica speranza, è solo e sempre lui che potrà accettare di fare le liste per le candidature sotto dettatura, come è stato fatto adesso per il Parlamento.
Per questo poco ci è mancato che ai pochissimi oppositori venisse impedito di parlare, tre giorni fa alla direzione Pd (Tommaso Ginoble, Americo Di Benedetto e Francesca Ciafardini): i loro tempi sono stati contingentati, cinque minuti al massimo e poi zitti e anzi Ginoble è stato persino richiamato all’ordine perché aveva sforato.
Francesca gliele canta e gliele suona
Ma il risultato non cambia. L’intervento polemico, durissimo e bellissimo della Ciafardini lo hanno potuto leggere tutti, perché lei lo ha pubblicato sulla sua bacheca Facebook: il Pd ha perso perché non c’è stata una vera “costituzione emotiva” nell’azione politica del partito, ha detto l’ex segretaria provinciale di Pescara sposando le parole di Tommaso Nannicini, guru economico del renzismo, ha perso perché non è sufficiente la leva del governo per ottenere consenso ma è necessario costruire un’empatia e avvicinare il Pd ai problemi ancora irrisolti del Paese.
“La linea politica nazionale, seguita pedissequamente dal Pd Regionale, era sbagliata perché prevedeva di emarginare la sinistra facendo persino spallucce sulla scissione, e di guardare a destra. Quanti consensi della nostra gente ci ha bruciato il civettare con Verdini?”.
Ma la pugnalata a Renzi arriva in contemporanea a quella per Dalfy:
“La linea politica sbagliata da oltre due anni è stata aggravata da una leaderismo spinto che ormai ha logorato la forma partito alla radice, sia a livello nazionale sia a livello locale”.
E dice di più, Francesca. Dice che no, le responsabilità della sconfitta non possono essere tutte uguali. Sarebbe troppo facile, “soprattutto a livello locale”. Soprattutto qui, in Abruzzo.
“C’è stato chi ha deciso tutto, e non parlo solo delle candidature che sono un discorso degli ultimi mesi, ma parlo del modus operandi di questi ultimi anni. Qualche alto dirigente del PD durante la fase congressuale pontificava sui social dileggiando i sostenitori della mozione Orlando dicendo che essi “Volevano rifare i Ds” – aggiunge Ciafardini – Oggi ripensando a quei commenti stucchevoli mi viene in mente che l’unica cosa che si è rifatta è la Margherita, purtroppo soprattutto per le percentuali pescaresi”.
Mister Preferenze, ei fu
E l’allusione è a lui, a mister Preferenze, a Luciano D’Alfonso al quale consiglieri, assessori, organi di partito hanno consegnato tutto e si sono consegnati tutti, mani e piedi, “perché con D’Alfonso si vince”, che era stata la frase pronunciata all’epoca dal segretario regionale del partito Silvio Paolucci per convincere Roma che la sua candidatura sarebbe stata meglio di quella di Giovanni Legnini. Ora che con D’Alfonso non si vince più, tutti continuano a restargli attaccati disperatamente, anche se per un motivo diverso: ora si perde tutto, e si perderanno quasi sicuramente anche le Regionali, con il rischio che il centrosinistra faccia terzo, dopo 5 Stelle e centrodestra. E allora che senso ha abbandonare la barca.
Aiuto, la maggioranza non c’è più
In ogni caso Dalfy o Lolli hanno una bella gatta da pelare: senza Di Matteo e Gerosolimo non hanno più numeri per governare anche perché Giorgio D’Ignazio, uomo di Federica Chiavaroli, ha detto chiaro e tondo che non ci sta a fare da killer a Di Matteo. Anzi ha chiesto proprio di non considerarlo della partita, visto che lui in maggioranza non ci sta più. E ieri non ha neppure partecipato alla riunione dei capigruppo di maggioranza, tanto per essere chiari.
In ogni caso, anche se a prima vista le condizioni poste dagli assessori dimissionari possono sembrare indigeste per il centrosinistra, è fin troppo chiaro che altre strade non ci sono: mercoledì’ o al massimo giovedì Di Matteo e Gerosolimo presenteranno la loro nuova formazione politica, Abruzzo insieme, alla quale hanno aderito più di 400 amministratori. Per restare in maggioranza hanno chiesto che Dalfy si dimetta, che a Paolucci venga tolta la delega alla Sanità, che venga rivisto il piano ospedaliero, e soprattutto che dal Masterplan vengano sottratti 2-300 milioni di euro da destinare al più presto al lavoro e alle misure anti-povertà e al sostegno delle piccole e medie imprese. Una specie di programma in chiave grillina, che potrebbe trovare consensi e adesioni (per arrivare il più presto possibile a nuove elezioni) proprio tra i 5 Stelle e il centrodestra.
ps: l’unico che sembra ignaro di quello che sta capitando è proprio D’Alfonso. Tanto lui è senatore.