ROMA Segnali di accelerazione di un accordo tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Spartizione delle Camere «nel rispetto del voto degli italiani» anche in riferimento alle aree territoriali visto che, spiegano i leghisti, «noi siamo il partito più grande al Nord, M5s al Sud», una possibile figura di garanzia al governo e un programma ben preciso. Il ticket sarebbe Bongiorno al Senato e Fraccaro alla Camera, anche se nelle ultime ore i grillini hanno evocato la possibilità che a Montecitorio vada la loro Giulia Grillo, con ciò complicando l'elezione di un'altra donna a Palazzo Madama. «Vedremo se i frutti arrivano subito o tra qualche mese», sussurra un esponente del Carroccio riferendosi alla possibilità che comunque si vada al voto in tempi non lunghi. Tra i papabili per le presidenze delle Camere spunta anche Anna Maria Bernini di Forza Italia e torna Giancarlo Giorgetti della Lega.
I CONTATTI
Silvio Berlusconi resta per ora alla finestra, si tiene lontano dalle trattative, ha sentito al telefono l'alleato. Salvini lo ha rassicurato: «Non intendo rompere l'alleanza, mi muovo all'interno del centrodestra». Il leader della Lega non ha escluso nulla ma allo stesso tempo non ha dato garanzie a FI sulla partita del Senato. Berlusconi vedrà Salvini insieme a Giorgia Meloni domani a Roma, aspetta di capire se il tentativo del lumbard andrà in porto. Ma al momento non ha intenzione di far saltare il tavolo. L'ex presidente è amareggiato. «Dovunque vada la gente mi esprime affetto ma mi ha votato solo uno su dieci», si è sfogato sabato al matrimonio dell'azzurra Polidori in Umbria. Non esclude una nuova campagna elettorale, in ogni caso guarda alle Europee dove «saremo più forti della Lega». Per ora però non ha carte da giocare. Anzi teme lo shopping parlamentare, con il partito di via Bellerio che è pronto ad assorbire deputati e senatori alla causa di un governo.
L'amarezza del Cavaliere, espressa anche alla consueta riunione di famiglia ad Arcore, però, non lo porta a pianificare piani di battaglia. «Vedremo i programmi», ha risposto l'ex premier a chi fa recapitare le proprie preoccupazioni a villa San Martino per l'asse Lega-M5s. Non una chiusura netta, quindi. Nessuna barricata. Una sorta di retromarcia rispetto ad una settimana fa quando il Cavaliere aveva avallato solo l'ipotesi di un sostegno dem e sottolineato di aver aperto ai Cinque stelle «per buttarli fuori». «L'obiettivo ha spiegato ai suoi deve essere la governabilità. Se ci saranno punti di convergenza bene, altrimenti non se ne fa nulla». L'ala moderata di FI però è sempre più in subbuglio. L'eventuale nomina della Bongiorno al Senato verrebbe digerita dai vertici, in quanto figura garantista e vicina a Ghedini, meno dal gruppo parlamentare. «Se tagliano fuori Romani vuol dire che saremo superflui. Ma in quel caso ci terremmo le mani libere», spiegano i berluscones. Meloni è pronta a rilanciare il piano di Salvini alla presidenza del Senato ma in questo momento è più vicina alle posizioni del Cavaliere. «Se fai un governo con M5S noi non ci staremo», il refrain della presidente di Fdi.
I TEMI
Salvini intende rilanciare sui temi illustrati in campagna elettorale. «Fa fede il programma», la rassicurazione che darà a Berlusconi e Meloni. «Siamo ancora in una fase interlocutoria», sottolinea Siri, il consigliere di Salvini. Berlusconi però confida ancora in Mattarella, vorrebbe riproporre nel giro delle consultazioni al Colle la tesi delle larghe intese, spinto anche da Gianni Letta a non rinunciare a un'intesa con i dem offrendo loro una Camera. Salvini è contrario e il vertice di domani dovrebbe servire anche a definire una linea univoca da illustrare al presidente della Repubblica. «Se Berlusconi si mette di traverso perde tutto il gruppo parlamentare», la minaccia dei leghisti che fanno notare come termine di paragone quello che è successo nella scorsa legislatura. «Anche quelli di Forza Italia sostiene Salvini con i suoi hanno capito che ormai è ora di voltare pagina. Non è più tempo di manovrine sotto banco o di formule strane». Il piano B di Salvini è quello di riproporre il nome di Giorgetti alla presidenza della Camera. Già domani in ogni caso il segretario del Carroccio dovrebbe mettere le carte sul tavolo. Facendo una proposta ufficiale di un nome leghista dopo che nei giorni scorsi M5S ha chiesto Montecitorio. «Siamo disposti ha sostenuto ieri Salvini - a ragionare e a confrontarci con tutti sul programma, non sulle presidenze o sui vicesegretari, perché vogliamo che il parlamento cominci a lavorare il più presto possibile». Il partito di via Bellerio ha alzato l'asticella: vuole il Friuli ma sta cominciando a chiedere la protesta che monta in FI nomine in ogni comune. «Di questo passo siamo destinati a scomparire», si lamenta più di un esponente azzurro.
Salvini a Berlusconi: «Nessuno strappo»
ROMA Salvini non cerca strappi e Berlusconi non può permetterseli. Nel faticoso tira e molla interno al centrodestra tocca al leader della coalizione trovare l'equilibrio in grado di salvaguardare l'unità. Salvini ci sta provando e ieri, al telefono con Berlusconi, avrebbe dato sufficienti rassicurazioni sulla volontà di trovare un'intesa prima nel centrodestra e poi con grillini o dem. I due si vedranno domani a Roma dove il Cavaliere arriverà per seguire, con i suoi, la trattativa da vicino e poi incontrare Salvini e la Meloni.
IL NULLA
Ad una presidenza delle Camere Forza Italia non intende rinunciare anche perché - sostengono - alla Lega spetta di indicare il candidato premier. I gruppi parlamentari il giorno prima hanno fatto quadrato intorno a Paolo Romani, ma la tensione resta alta e l'intreccio tra elezione dei presidenti delle Camere e futuro governo riaffiora in ogni incontro o telefonata. Malgrado i sospetti reciproci, nelle telefonate ricevute ieri ad Arcore, il Cavaliere ha trovato nuovi argomenti per difendere il lavoro del neo leader del centrodestra: «Sta parlando con tutti, non pensa di proporci nulla di precostituito, tantomeno di fare un governo con i grillini». L'ex premier è convinto che «piano, piano» l'alleato stia smaltendo «la sbornia» dovuta al successo elettorale del suo partito e che «si sta misurando con le difficoltà che si incontrano nel cercare un accordo».
La differenza tra i due resta però forte sul dopo-presidenze. Ovvero sul governo e sulla durata della legislatura. Salvini sa che la strada per arrivare veramente a palazzo Chigi è molto ma molto complicata e che stare da segretario del Carroccio in un governo di centrodestra o di tutti - tranne i 5S - è per lui molto pericoloso. Strappare con Forza Italia rischia però di esserlo altrettanto e votare con i 5S Fraccaro alla Camera e la Bongiorno al Senato significa dire addio al centrodestra nonché aumentare le fibrillazioni già in atto nelle Regioni - vedi ciò che accade in Liguria - dove FI e Lega governano insieme.
Malgrado le smentite di Di Maio e dello stesso Salvini, Berlusconi continua a pensare che un accordo sulle presidenze delle Camere si porti necessariamente dietro anche un pezzo della possibile intesa di governo. «Se i due si eleggono i presidenti, si fanno anche il governo», sostiene un deputato azzurro. Ma il nesso tra presidenze e governo varrebbe anche se il centrodestra eleggesse con il Pd i due presidenti delle Camere votando Romani (Senato) e Giorgetti (Camera) o, peggio ancora, un dem a Montecitorio. D'altra parte, per Di Maio, spaccare il centrodestra, dopo averlo in parte fatto con il Pd, è l'unica strada per evitare l'emarginazione sia nella scelta dei presidenti delle Camere sia in prospettiva della nascita di un governo che, per dirla con l'azzurro Osvaldo Napoli, non può che nascere in Parlamento visto che «il giudizio popolare ha rimesso al Parlamento il compito di costruire una maggioranza».
LO SCONTRO
In attesa di pesare bene i costi di un possibile strappo nel centrodestra, Salvini cerca di tener tranquillo il Cavaliere. Ma, a tre giorni dall'avvio delle votazioni, ciò basta per agitare i sonni dell'ex vicepresidente della Camera. Il leader pentastellato comincia infatti a dubitare della volontà del segretario della Lega di continuare nel gioco di sponda fatto sinora e concretamente offre a Salvini la soluzione - fatta circolare ieri sera - più esplosiva sotto il profilo degli equilibri istituzionali. Ovvero la sua elezione a presidente della Camera e quella di Salvini al Senato. Una sorta di patto sovran-populista che dovrebbe poi dar vita ad un governo e portare il Paese al voto quando deciderà il Quirinale e solo dopo aver sistemato la faccenda dei vitalizi. Il rischio per Salvini è però quello di favorire il Pd in un possibile scontro elettorale con il M5S e con un Carroccio al 17% e privo del sostegno degli alleati.
E così si torna al dilemma iniziale che in queste ora assilla il leader della Lega: conviene e quanto costa lo strappo da FI? Una risposta il leader della Lega ancora non ce l'ha. Teme di restare invischiato nel governo più o meno claudicante che potrebbe nascere a ridosso dell'estate e soprattutto che FI non voti alla Camera un grillino dopo aver magari incassato la presidenza di palazzo Madama. L'idea di capovolgere il gioco offrendo ai grillini il Senato (Toninelli) e la Camera agli azzurri (Carfagna) si scontra però con le resistenze del Cavaliere che continua a rifiutare l'idea di unire i voti di FI con quelli dei grillini.