ROMA Non l'hanno ancora neanche indetto, e già litigano e si spaccano. L'idea circolata tra i dem di un referendum tra gli iscritti per decidere se appoggiare o meno un governo di altri, dimaista o salviniano, da proposta solo accennata, sussurrata quasi, è stata troncata sul nascere. «Non ce n'è bisogno», stronca Matteo Orfini. «Ma quale modello tedesco», sbotta un altro della cerchia renziana, «la Spd non ha chiamato gli iscritti a dire volete questo o volete quello, ma a pronunciarsi su una proposta precisa: il governo con la Merkel. Qui su che cosa dovremmo far pronunciare gli iscritti, sulla eventualità di che cosa?».
A favore del referendum interno si era pronunciato tra i primi Sergio Chiamparino, governatore del Piemonte e non ostile a Renzi. Ultimamente, è stato Ettore Rosato, il capogruppo uscente alla Camera, a tornarci: «Non sono d'accordo a fare un governo con il M5S, ma su decisioni importanti potrebbe essere utile una consultazione tra gli iscritti, anche sulla possibilità di fare un governo». «Se il Pd va a fare un governo con i cinquestelle, la mia sarà l'iscrizione al partito più breve della storia», il monito lanciato a suo tempo da Carlo Calenda, ministro uscente e iscritto entrante e militante del Pd.
LE TENSIONI
Si litiga su un referendum solo sussurrato, ma è sulla prospettiva politica che le tensioni crescono. Al punto che circola con insistenza la voce, meglio il timore, che Renzi avrebbe in animo lo strappo qualora il Pd decidesse una forma di sostegno a un esecutivo targato cinquestelle. Uno strappo che porterebbe alla fuoriuscita dei renziani dai gruppi parlamentari, con successiva formazione di gruppi autonomi alla Camera e al Senato (i conteggi dei giorni scorsi su chi sta con chi non erano finalizzati soltanto alla scelta dei futuri capigruppo, ma alla verifica su quanti poter contare in caso di rottura). «Sarebbe sbagliato lasciare a Renzi la battaglia sacrosanta di non appoggiare un governo Di Maio», scrive già qualche sito che non è mai stato tenero con il segretario dimissionario. La tensione nei gruppi ha riaperto i giochi per la guida dei medesimi: l'accordo raggiunto su Guerini alla Camera e Marcucci al Senato sarebbe tornato in alto mare perché giudicato «troppo in continuità» con il renzismo, a traballare sarebbe più il senatore che il deputato, gli orlandiani su Marcucci hanno dato pollice verso.
In questo contesto, ha fatto storcere il muso a più d'uno, renziano o meno, l'intervista di Walter Veltroni dell'altro giorno nella quale si ipotizzava un dialogo con il M5S finalizzato al recupero di elettorato ex dem finito dalle parti grilline, e si perorava la causa del Quirinale ove mai facesse una qualche proposta volta a sbloccare la situazione. Un vecchio amico di Veltroni gli ha mandato un sms di reprimenda: «Vedo che parli di popolo e di coriandolizzazione dell'esistenza, ma che immagini, un popolo di coriandoli?».
LE POLEMICHE
Assai più duro Orfini, che quando sente parlare Veltroni o Franceschini perde l'aplomb: «Drammatico sarebbe se qualcuno pensasse di far partire la legislatura con Di Maio per ottenere in cambio l'elezione di un presidente della Repubblica del Pd». Orfini non risparmia neanche il governo Gentiloni, accusato di «aver favorito la sconfitta elettorale», visto che «in realtà non aveva un gran consenso, è servito piuttosto a far prolungare artificialmente la legislatura facendoci apparire quelli dell'establishment, mentre gli altri facevano opposizione per il popolo». I problemi veri verranno al pettine quando, verificata l'impossibilità di un esecutivo a guida Di Maio o Salvini, dal Colle verrà la proposta di un governo di tutti tutti o di tutti meno qualcuno, al quale anche il Pd sarà chiamato a dare disco verde. A quel punto, dall'Aventino bisognerà scendere per guardare al Quirinale.