L'AQUILA Certo, non sarà una transizione semplice. Bisognerà passare da un super leader dalla personalità debordante, Luciano D'Alfonso, a uno, Giovanni Lolli, che fa del lavoro di squadra una ragione di vita politica. E poi, forse, bisognerà passare dalla strategia dei grandi investimenti a quella del sostegno alle persone, almeno per questo scorcio. E, dulcis in fundo, bisognerà capire chi vorrà stare dentro a questa logica fino alla fine, che sia anticipata (dicembre) o naturale (primavera).
Sicuramente il post D'Alfonso è cominciato ufficialmente. E in questo contesto il tema del rimpasto di giunta è, al momento, in secondo piano. «Si porrà, semmai, all'esito della discussione, non è un problema di poltrone» dice Lolli all'indomani del primo vertice di maggioranza post voto, alla presenza di capigruppo e rappresentanti di partito e senza i dissidenti Andrea Gerosolimo e Donato Di Matteo, sempre più ai margini di questo cerchio. Inviti fatti recapitare dal segretario regionale Pd Marco Rapino, rimasto rigorosamente in silenzio in questi giorni. E le bocche sono rimaste piuttosto cucite anche dopo il summit pescarese dell'altra sera, ma una cosa è certa: sono state gettate le basi per il cosiddetto patto di fine legislatura, quello che condurrà la Regione al prossimo voto. Lolli sarà il reggente, inevitabilmente con aumentate responsabilità, «ma il vero dato politico è che, qui, il centrosinistra resterà unito fino alla fine, a differenza di ciò che sta accadendo nel resto d'Italia» sussurra una voce.
I TEMI
L'analisi squisitamente politica ha avuto il suo ovvio spazio, ma non determinante. Il messaggio, in questo senso, è però molto chiaro: «Ci è arrivata una botta pesante, l'abbiamo ricevuta, dobbiamo ripartire con umiltà, non si può fare finta di niente» ha detto Lolli. Poi si è ragionato sul come andare avanti, come in una riunione di lavoro. Con particolare attenzione a come stanno le persone: al lavoro, al sociale, alla sanità. Intanto verranno portate a conclusione alcune cose in dirittura d'arrivo. Basti pensare, ad esempio, a tutta la macro-questione del riallineamento dei documenti contabili, che avrà ancora una vita di una decina di giorni. E poi c'è una serie di provvedimenti amministrativi che riguarda i Fondi strutturali, argomento su cui, però, sembra esserci una certa tranquillità. E, infine, si è parlato di sociale, settore per cui va trovata una risposta adeguata alla luce della contrazione dei trasferimenti statali: occorrerà reperire ulteriori risorse regionali per tamponare l'emorragia. In più si interverrà su alcuni nervi scoperti nell'ambito della sanità, su alcuni particolari territori. Questo è il famigerato patto, che in ogni caso poco si discosta da ciò che sarebbe stato fatto con D'Alfonso pienamente in sella. Quello che cambia realmente è il metodo: c'è necessità di una maggiore coesione, di compattezza, di unità d'intenti. E in questo la maggioranza ha sancito la volontà comune di fare uno scatto in avanti anche rispetto a quanto accaduto negli ultimi mesi. E i dissidenti? Anche qui la linea pare ben chiara: se ne ragionerà quando e se le dimissioni dalla giunta diventeranno formali, «qui nessuno caccia nessuno, se se ne andranno si vedrà».
LE SCHERMAGLIE
I tempi per il ritorno al voto sono l'altro nodo della questione. Dicembre o marzo, sono queste le ipotesi in campo. Nessuno si esprime, ma sempre senza il crisma dell'ufficialità uno dei partecipanti al vertice un sassolino se lo toglie dalle scarpe: «Strano che il centrodestra quando era al governo della Regione ha chiesto addirittura una proroga del termine della legislatura e ora che è all'opposizione chieda l'anticipo della conclusione». Votare tra sei mesi o dieci non farà differenza, insomma. Almeno per il centrosinistra.