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Data: 21/03/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Il ritorno di Berlusconi: con M5S trattiamo uniti. Di Maio: a noi la Camera. Salvini cede il Senato a FI per garantirsi la leadership

ROMA Montecitorio ad un esponente M5S (in pole Roberto Fico e Riccardo Fraccaro), palazzo Madama ad un esponente di FI (il nome più accreditato è quello della Anna Maria Bernini ma Silvio Berlusconi insiste ancora su Paolo Romani). E in Friuli il centrodestra presenterà come candidato governatore il leghista Massimiliano Fedriga e non più Renzo Tondo. Mentre Berlusconi in nome della governabilità apre ad una convergenza con M5S.
La prima notizia della giornata è che il Cavaliere sembra essersi riscosso dalla fase di down post elettorale di questi giorni. Ieri ad Arcore ha parlato a lungo con Salvini, il quale ha chiesto un nome della Lega per il Friuli e a meno di novità dell'ultima ora ha ottenuto il via libera azzurro. Potrà così rivendicare in caso di vittoria tre regioni (la Lega guida anche Veneto e Lombardia). Per venire incontro al pressing di Berlusconi si va verso l'ok ad una candidatura di Forza Italia per palazzo Madama. Insomma, per trovare un accordo si fa «un passo avanti e uno indietro», come afferma il numero due del Carroccio, Giorgetti. Oggi alle 12 si terrà il vertice dei leader del centrodestra che segnerà di fatto il ritorno del Cavaliere. Ci sarà intesa su un «metodo condiviso» e si ragionerà su una rosa di nomi, con FI che appunto metterà sul tavolo una triade (Romani, Bernini, Gasparri). «L'importante è che una presidenza vada al centrodestra. Se servirà un presidente non della Lega per risolvere il rebus politico non è un problema, non ci metteremo a fare i capricci», dice ancora Giorgetti.
CONSULTAZIONI INCROCIATE
La presidenza della Camera pare sempre più destinata a M5S. «Questa non sarà una partita per il governo, è una partita per l'abolizione dei vitalizi», sostiene Di Maio che avverte tutti, soprattutto il Pd, su come e dove dirotterà i suoi voti. «Useremo i nostri numeri e la nostra forza di maggioranza per fare ciò che i cittadini chiedono da tempo, per eliminare le ingiustizie e portare equità sociale, a cominciare dalla prima legge di bilancio», scrive su Facebook proiettandosi già a ottobre. I gruppi pentastellati, guidati da Giulia Grillo e da Toninelli, hanno visto le delegazioni del Carroccio, del Pd, di FI, Fdi e Leu: «Abbiamo ribadito il concetto della nostra contrarietà ai condannati e agli indagati». «Nessun partito ha espresso contrarietà all'assegnazione della presidenza della Camera al M5S», sottolineano i due capigruppo in pectore. I nomi arriveranno domani, «ora si discute del metodo»: gli ortodossi hanno provato a riproporre il nome di Fico ma inutilmente. «Non sarò io», ha detto quest'ultimo e anche Carelli si è tirato fuori. In pista Fraccaro che ha portato avanti nella scorsa legislatura la battaglia sui vitalizi. «Ma il presidente della Camera ha ben altro da fare, deve garantire il buon funzionamento dell'istituzione», ha obiettato il reggente del Pd Martina, che è tornato a chiedere nomi di garanzia.
Per quanto riguarda palazzo Madama FI è convinta intanto di avere stoppato il nome di Giulia Bongiorno e attende fiduciosa la mossa di Salvini. Una presidenza a FI? «Non la escludiamo», dicono dal partito di via Bellerio. Ma nel pre-colloquio di ieri tra Berlusconi e Salvini si è parlato anche di governo. «Bisogna fare i conti anche con M5S, è un obbligo», l'invito del segretario del Carroccio che sta lavorando ad un programma di governo. E il Cavaliere, in nome della governabilità, ha dato l'ok a verificare possibili convergenze. Il centrodestra si presenterà compatto per chiedere a Mattarella che venga dato un mandato esplorativo a Salvini, riconosciuto dicono dalla Lega anche da Berlusconi come il leader del centrodestra. «La Lega e M5S avrebbero i numeri per fare la maggioranza ma non è nostra intenzione fare questo tipo di processo, non c'è nessuna trattativa separata e non c'è nessun accordo segreto», dice Giorgetti mentre Di Maio, incontrando gli eletti M5S a Montecitorio, tesse l'elogio di Mattarella: «Apprezziamo molto che non stia mettendo fretta alle forze politiche. Sono sicuro che gestirà nel migliore dei modi questa fase».

Salvini cede il Senato a FI per garantirsi la leadership

ROMA «A Mattè, ma nun poi pensà de prenne l'incarico a premier e pure na presidenza. E noi che stamo a fa!». «Dici!». Non è ancora sceso a Roma per il suo primo giorno da senatore, ma la telefonata dell'arguto alleato dell'hinterland capitolino diventa per Matteo Salvini lo spartiacque tra il tatticismo dei giorni scorsi e la realtà. Dopo mesi di campagna elettorale il segretario delle felpe fatica ad indossare giacca e cravatta e ancor più a calarsi nel ruolo di leader di tutto il centrodestra. Depurate le scorie della campagna elettorale restano però i numeri con i quali confrontarsi in Parlamento per eleggere i presidenti delle Camere e magari anche per formare, dopo, un governo. Più che le sparate e i toni muscolari conta la politica e contano i pesi che ciascuna forza ha. Soprattutto conta - e a volte pesa - la volontà di essere riconosciuto leader politico del centrodestra, dopo aver battuto nelle urne l'invincibile Cavaliere di Arcore.
LA POLTRONA
Tra Salvini e Berlusconi - come conferma la telefonata di ieri e racconterà l'incontro di oggi - i rapporti restano stretti, e quel po' di diffidenza reciproca sta tutta nella difficoltà che incontra l'ex premier nel riconoscere l'erede, e nella cautela usata dal segretario nel trattare colui che considera una vecchia gloria della politica e del Milan. Alle ragioni dell'alleato battuto con la forza dei voti - ma tecnicamente ancora capace di uno scatto d'orgoglio - Salvini si acconcia stringendo lo scettro da leader del 37% e cedendo una delle due Camere all'alleato e l'altra ai pentastellati. Un passo indietro, nella certezza di poterne fare molti altri in avanti, e che potrebbe portare un azzurro sulla poltrona di presidente del Senato. Archiviato, se mai c'è stato veramente, l'asse con il M5S, la Lega di Salvini lavora per portare tutto il centrodestra all'accordo con 5S e Pd. Dal vertice a tre di oggi, uscirà quindi una sostanziale unità del centrodestra con tanto di riconoscimento per il lavoro fatto sin qui dal suo leader. Con Montecitorio al M5S, il Senato a FI e il dovuto riconoscimento al Pd e alle forze più piccole negli uffici di presidenza, la quadra sembra trovata anche se i rischi si annidano nei dettagli. Al Senato il passo indietro che dovrebbe fare la Lega - magari in cambio della candidatura di Massimiliano Fedriga a governatore del Friuli - potrebbe spianare la strada a Paolo Romani. Il veto dei 5S sui candidati con procedimenti penali in corso non impedisce l'intesa perchè il centrodestra ha da solo i numeri per eleggere Romani grazie anche a qualche aiutino del Pd. L'ipotesi alternativa di Anna Maria Bernini regge ma incontrerebbe resistenze territoriali, visto l'attivismo della neoeletta senatrice della Lega Lucia Borgonzoni. Tramontata invece la candidatura della Bongiorno che oltre a scontare il veto di FdI, da presidente del Senato avrebbe molto meno tempo per curare il suo avviatissimo studio da avvocato.
L'ALA
E se al Senato Romani può farcela anche senza il M5S, altrettanto non possono fare i Cinquestelle alla Camera per eleggere Roberto Fico o Riccardo Fraccaro. Tutti e due avranno bisogno che Salvini porti loro i voti di tutto il centrodestra e magari anche del Pd. Il primo, Fico, sembra però avere molte più chance proprio perchè non è annoverabile tra i fedelissimi di Di Maio, ma esponente dell'ala più ortodossa del Movimento. In sostanza l'elezione di Fico a presidente della Camera rappresenterebbe un elemento di stabilizzazione non solo dei 5S ma anche della legislatura.
Il tempo diventa il maggiore alleato per chi cerca una soluzione non solo per le presidenze delle Camere ma anche per il governo. «Apprezziamo molto che il Quirinale non stia mettendo fretta alle forze politiche», ha affermato ieri Di Maio. Un riconoscimento che aiuta il leader grillino a restare in partita sia nel gioco delle presidenze, sia nella costruzione di quel governo di tutti che avrà un programma di tutti. Compresa la modifica del sistema elettorale e la fine del bicameralismo.

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