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Pescara, 24/11/2024
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Data: 23/03/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Oggi fumata nera sulle Camere. Veto su Berlusconi scontro M5S-FI Ma poi Salvini apre. I grillini bocciano Romani: vediamo solo il leader del Carroccio, decide lui. Il Pd diviso si rifugia nella scheda bianca E Renzi avverte: «Adesso tocca a loro»

ROMA Oggi prende il via la XVIII legislatura con l'elezione dei presidenti delle due Camere. Ma la prova del fuoco ci sarà domani. Oggi al Senato nelle prime due votazioni FI, Pd e probabilmente anche gli altri partiti voteranno scheda bianca per l'elezione del presidente del Senato. Dalla terza si comincerà a fare sul serio.
VIGILIA
Alla vigilia le posizioni appaiono essenzialmente tattiche con il risultato di aver bloccato le trattative. «I nomi usciranno solo se ci sarà un incontro tra i leader altrimenti il centrodestra andrà con Romani al Senato e Giorgetti alla Camera», dettano a sera da FI, assicurando di parlare anche a nome della Lega. Matteo Salvini però frena: «una presidenza va a M5S. E dopo il nulla di fatto al vertice dei capigruppo aggiunge: «Invitiamo tutti i gruppi presenti in Parlamento a essere responsabili e a scegliere nel nome della più ampia partecipazione». Luigi Di Maio non intende sedere allo stesso tavolo con Silvio Berlusconi. E rilancia: «Il leader del centrodestra è Salvini, siamo disposti a parlare con lui». Una mossa per stanare il leader leghista o un assist? «Gli elettori hanno legittimato Di Maio e non Berlusconi, non siamo disposti noi a legittimarlo», tagliano corto i vertici del Movimento escludendo un Nazareno bis.
FI, al termine di una giornata interminabile di vertici a palazzo Grazioli, per ora tiene il punto su Romani, dunque, con il timore però che già questo pomeriggio sia Salvini che Meloni possano chiedere a Silvio Berlusconi di cambiare cavallo. «Nel segreto dell'urna la Lega non terrà su Romani», spiegano i senatori del partito di via Bellerio. La preoccupazione degli azzurri è che i franchi tiratori del Carroccio possano affossare l'ex capogruppo. Anche perché l'accordo tra Lega e Movimento 5 stelle è ancora saldo. La Lega potrebbe votare il candidato pentastellato alla Camera e ufficializzare il doppio forno, ovvero sostenendo perlomeno pubblicamente la scelta di Berlusconi a palazzo Madama.
Il nuovo stop si è registrato dopo il vertice ad ora di pranzo del centrodestra con Berlusconi. «Il nostro candidato resta Romani», ha comunicato Berlusconi agli alleati che hanno preso tempo, pur ribadendo la necessità che M5s abbandoni le barricate. «Romani è invotabile», la secca risposta di Di Maio che peroò, certificando «la difficoltà del percorso», ha annunciato l'intenzione di riunire i capigruppo di tutti i rappresentanti presenti alle trattative.
Così in serata si sono seduti intorno a un tavolo Toninelli e Giulia Grillo per M5s, Martina e Guerini per il Pd, Fedriga e Centinaio per la Lega, Rampelli, Crosetto e La Russa per Fdi, Grasso per Leu (anche l'ex presidente del Senato ha messo l'alt a candidati condannati o indagati). E Brunetta e Romani, che però hanno voluto discutere solo di vicepresidenze. «Non possiamo permettere ad un ragazzo di 30 anni di metterci dei veti», la posizione azzurra. Ribadita anche nelle due assemblee di gruppo durante le quali, tra gli applausi, Brunetta e Romani hanno accolto i nuovi parlamentari. «Di Maio deve incontrarmi, altrimenti non c'è dialogo. Il metodo è la sostanza, niente veti», il refrain di Berlusconi. Salvini si è detto d'accordo sulla forma. Incontrando i deputati della Lega che hanno eletto Giancarlo Giorgetti capogruppo, il leader leghista ha spiegato di essere disponibile a «tavoli e tavolini» pur di sbloccare la situazione, sottolineando di fatto l'impasse: «Ripartiamo da zero».
LA RIUNIONE
Il Pd ha detto sì ad un incontro. «Ma questa la condizione non ci siano soluzioni precostituite». «Se hanno già deciso che una presidenza va al centrodestra e una al M5s non possono ha sostenuto Rosato - chiedere al Pd di fare da arbitro». «Serve un confronto trasparente, c'è chi gioca più parti», ha detto il reggente Martina, spingendo per rinviare la discussione dei capigruppo Pd proprio per evitare divisioni. Dunque i dem non voteranno Romani, ma potrebbero dal ballottaggio sostenerlo nel segreto dell'urna o continuare con scheda bianca per agevolarne l'elezione.
Oggi è prevista una prima votazione in entrambi i rami del Parlamento, poi ci sarà una sospensione per permettere ai capigruppo di riunirsi e affinare la strategia. Il braccio di ferro su Romani rischia di compromettere l'unità del centrodestra. Anche se tutti gli attori in campo hanno sottolineato la necessità di slegare le due partite, ovvero quella delle presidenze delle Camere con quella del governo, la consapevolezza è che la votazione di oggi e domani sarà decisiva per l'eventuale proseguo della legislatura. Salvini ai suoi non ha nascosto l'irritazione per lo stallo: «Berlusconi ha confidato ai fedelissimi pensa ancora alle trattative alla vecchia maniera, come se ci fosse ancora Verdini a condurre le danze. Non è che si può andare avanti con uno o due voti in più». Meloni prova a fare da collante tra gli altri due leader del centrodestra. «La verità ha spiegato ai suoi è che Berlusconi guarda al Pd e Salvini ai Cinque stelle. Di questo passo non se ne esce». «Se Fi abbandonasse Romani (in pole la Casellati) la partita si potrebbe sbloccare», dicono chiaro e tondo da Fdi e Lega.

Il Pd diviso si rifugia nella scheda bianca E Renzi avverte: «Adesso tocca a loro»

ROMA Astensione. E' la linea decisa dal Pd per l'elezione dei presidenti delle Camere. Sicuramente per il Senato, dove i più avvertiti hanno capito subito che la scelta dem è di fatto un aiutone al centrodestra per favorire l'elezione del loro candidato, il forzista Paolo Romani. Votando scheda bianca, si indebolisce il fronte dei contrari e si favorisce quelli che votano a favore del candidato. «In questo passaggio cruciale chiedo l'unità del partito, per poter partecipare alle trattative in maniera unitaria e fattiva», l'appello di Maurizio Martina alla prima assemblea dei parlamentari dem tenutasi alla Camera, assente Matteo Renzi.
Non c'è stato dibattito, solo aggiornamento a questa mattina. Al termine si è incaricato Matteo Orfini di dettare la linea in una sola riga: «Il Pd non vota Romani, ci asteniamo con scheda bianca». Con una battuta alla toscana del pratese Antonello Giacomelli a Martina: «Finora si considerava forlaniano Guerini, ma dopo avere ascoltato te lo hai superato». Una battuta, certo, ma che si può leggere anche come un richiamo all'ordine, nel senso di avvertire il reggente di non spingersi troppo oltre, annacquandola, la linea dell'opposizione decisa in direzione e sulla quale Renzi e renziani restano attestati. «Tocca a loro», ha scritto Renzi nella sua e-news, «tocca al M5S e al centrodestra, uno è il primo partito, gli altri sono la prima coalizione, noi faremo opposizione responsabile, ma sempre opposizione». E in questa chiave va letta la visita che in mattinata Luca Lotti ha fatto al Nazareno a Martina («sto andando a incontrare il boss», ha detto sorridendo ai giornalisti).
LA BATTAGLIA
All'ombra delle tattiche parlamentari sulle presidenze, nel Pd si sta combattendo il prolungamento della battaglia per superare secondo alcuni, per sotterrare secondo altri, il renzismo. Con gli uni, gli anti renziani, che sostengono come con l'opposizione per l'opposizione «Renzi porti il Pd a sbattere, all'isolamento», mentre il Pd, benché bastonato nelle urne, «può svolgere una funzione», può «incalzare gli altri», «giocare la propria partita», insomma «può influire sulle scelte e avere un peso». In questa chiave, finanche la candidatura solo ipotizzata, se non sussurrata, di una presidenza della Camera a Dario Franceschini, è stata letta più come un gesto di scontro interno al Pd che come una risorsa, una conquista. Il motivo lo spiega un renziano di prima cerchia: «E' chiaro che se il centrodestra vota Franceschini significa che in cambio il Pd permette la nascita di un governo di centrodestra, certo non a guida Salvini, ma comunque di centrodestra rispetto al quale si asterrà, dà la non sfiducia o cose similari tutte volte a farlo decollare. Ma noi non possiamo permettercelo, chiaro?». Anche a costo di votare contro Franceschini? «Se la posta è quella...», conclude il renzianissimo allargando le braccia. «Il Pd può giocare un ruolo, può pesare, l'importante è far decantare la situazione, e vedrete, anche l'elezione dei capigruppo sarà unitaria, per acclamazione», dice a sua volta Walter Verini.
Fatto sta che sui capigruppo è in corso un duro braccio di ferro. A Luigi Zanda, che ha bocciato di fatto Andrea Marcucci al Senato dicendo che l'accoppiata con Guerini «sarebbe troppo all'insegna della continuità con il renzismo», i renziani replicano imbracciando il pallottoliere come una lupara e elencando questi numeri: al Senato sarebbero 32 su 55, alla Camera 71 su 113. «Vogliono andare alla conta, si accomodino, ma rischiano grosso, la linea di stare all'opposizione è l'unica», la sfida della renzianissima Alessia Morani.
L'ACCOPPIATA
Sicché quando Marcucci va via dalla Camera dopo un colloquio con Giacomelli, appare soddisfatto e risollevato, per l'elezione dei capigruppo i renziani tengono l'accoppiata Guerini-Marcucci. «La perplessità di Marcucci è solo quella di dover guidare un gruppo con dentro Renzi», chiosava scherzando un renziano gigliato.

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