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Pescara, 24/07/2024
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Data: 23/03/2018
Testata giornalistica: Il Centro
I veti sulle presidenze. Si ricomincia da zero. Forza Italia insiste sul nome di Paolo Romani, ma il movimento non cede. Incognita Fraccaro-Fico per il M5s, il Pd intanto prova a sparigliare le carte. Alta tensione al Nazareno. Renziani pronti alla conta. Il partito spera di tornare in gioco per le nomine ma è bloccato dalle sue divisioni

ROMA Una girandola impazzita di continui vertici culminata con la riunione di tutti i capigruppo non basta a evitare, fino alla tarda serata di ieri, l'evaporazione di ogni accordo sulle presidenze delle due Camere.Troppi i nodi alla base di un impasse che dura ormai da più di 48 ore, primo fra tutti quello della candidatura del centrodestra di Paolo Romani alla guida del Senato e, soprattutto, il rifiuto del M5s a qualsiasi incontro con Silvio Berlusconi. «I nomi usciranno solo se ci sarà un incontro tra i leader, altrimenti il centrodestra andrà con Romani al Senato e Giancarlo Giorgetti alla Camera», è l'affondo di Forza Italia al termine della riunione dei capigruppo che, a fine giornata, tenta invano una ricucitura in zona Cesarini. FI, Lega, M5S: sono questi, al momento, i tre protagonisti dell'impasse al termine di un confronto a distanza che, alla fine, porterà a votare scheda bianca ai primi scrutini sia il centrodestra che il Pd. Rinviando, di fatto, l'elezione della seconda e terza carica dello Stato almeno a domani. La giornata comincia con la richiesta, da parte del capogruppo uscente del Pd Ettore Rosato, di «resettare» ogni possibile trattativa. Poi è il centrodestra a tornare a riunirsi e dal nuovo vertice Berlusconi-Salvini-Meloni esce nuovamente il nome di Paolo Romani. È a quel punto che Di Maio rompe il silenzio proponendo una riunione tra tutti i capigruppo e sentenziando il «no» del M5s al capogruppo azzurro, «indagato ed invotabile».Non passa neanche un'ora e Salvini complica ulteriormente il quadro, riaprendo al M5s («Se c'è un tavolo, siamo pronti») e sancendo «l'azzeramento» di qualsiasi precedente trattativa. Parole che riportano il M5s nei giochi in maniera prepotente. Anche perché Salvini ammette di sentire Di Maio «più di sua madre» raccontando anche di un contatto telefonico tra i due prima che il leader della Lega entrasse a Palazzo Grazioli per il vertice del centrodestra. Ma di sblocco dell'impasse, all'orizzonte, fino a questo momento non si vede neanche l'ombra.La riunione convocata dal M5s alle 20 dura poco più di un'ora.E sul tavolo sembrano spuntare i primi nomi, a cominciare da quello meno gradito al M5s. «La Lega ha fatto il nome di Romani», spribadisce Ignazio La Russa all'uscita dal vertice. Un vertice che, tuttavia, non porta eccessive novità. «Il leader del centrodestra è Matteo Salvini, siamo disposti ad incontrarlo. Non legittimeremo Silvio Berlusconi e non siamo disposti a un Nazareno-bis», è la reazione dei vertici del MoVimento alla richiesta, da parte di Forza Italia, di un vertice fra Di Maio e Berlusconi. Un vertice che, dalle parti dei pentastellati, viene considerato come «letale» per l'immagine dei Cinquestelle davanti ai propri elettori. È difficile che, nelle prossime ore, il clima si possa rasserenare. Forza Italia insisterà ancora sulla candidatura di Romani ed il M5s insisterà con il suo «niet».Con un rischio, per il Movimento: se al Senato, dopo i primi tre scrutini, il centrodestra può eleggersi da solo un «suo» presidente, a Montecitorio ai Cinquestelle non può andare altrettanto liscia perche gli servono, comunque, almeno 94 voti. Da qui nasce il timore di Di Maio di «perdere» anche la Camera, a favore di un candidato come Giancarlo Giorgetti. Se Forza Italia ed il moVimento Cinquestelle riusciranno a smussare in extremis il loro scontro, il ticket giusto, secondo gli ultimi rumors, potrebbe essere quello di Anna Maria Bernini (con Anna Maria Casellati, ex magistrato, come outsider al quale il M5S avrebbe una qualche difficoltà a dire di no) al Senato e Riccardo Fraccaro alla Camera. Ma è un ticket del quale, almeno fino a stasera, non dovrebbe esserci alcuna traccia ufficiale e che potrà emergere solo dopo che il «gioco dei veti» - copyright del reggente del Pd Maurizio Martina - si sarà smussato.

Alta tensione al Nazareno. Renziani pronti alla conta. Il partito spera di tornare in gioco per le nomine ma è bloccato dalle sue divisioni

ROMA Non farsi schiacciare nel ruolo di spettatori complici di un accordo tra M5s e centrodestra. È questo il risultato che il Pd tutto vanta, mentre i «vincitori» delle elezioni si incartano sulla scelta dei presidenti delle Camere. In una partita in cui i Dem giocano di rimessa e rischiano di non toccare palla, guardano con sollievo alla «ripartenza» delle trattative. Tornano a sperare i «dialoganti», che vorrebbero trattare ora sulle presidenze delle Camere e magari domani sul governo.Ma le mosse del Pd sono ingessate dalle sue divisioni: chi tifa perché salti l'intesa tra M5s e centrodestra, ammette che da qui a eleggere un nome Dem (quale, poi?) ce ne passa. E anche sulla scelta dei capigruppo il braccio di ferro porta a un rinvio: Luigi Zanda si fa portavoce di chi vuole che almeno uno dei due nomi sia «non renziano», ma gli uomini vicini a Matteo Renzi si dicono pronti «alla conta». «Cambiare metodo, ripartire da zero», per individuare «figure di garanzia» per la presidenza delle Camere: è questa la linea su cui si attestano i Dem fin dal mattino, con le dichiarazioni di Maurizio Martina, Ettore Rosato, Lorenzo Guerini. È la linea emersa dal «caminetto» di mercoledì notte e condivisa anche dai renziani, che alla riunione hanno dato forfait. Nelle prime votazioni ci si asterrà con la scheda bianca: qualcuno accarezza l'idea di scrivere il nome di un Dem come Zanda per «contarsi», ma in questo momento il Pd cerca di evitare proprio le conte. In serata Rosato dice che i Dem non voteranno Paolo Romani, come del resto - spiegano dal partito - non voterebbero Roberto Fico alla Camera: ma Romani è figura gradita a un ampio fronte Dem, il non voto aprirebbe la strada alla sua elezione. In giornata c'è chi avanza altre ipotesi, che si farebbero largo se saltasse l'intesa M5s-centrodestra. Trattare con il centrodestra per eleggere Emma Bonino al Senato, o un nome come Dario Franceschini o Piero Fassino alla Camera. Ma così, spiegano fonti franceschiniane, non solo si presterebbe il fianco alle accuse di «inciucio» del M5s, ma l'accordo rischierebbe di non tenere perché alla Camera Pd e centrodestra anche sommati non hanno una maggioranza schiacciante, e potrebbero «vincere» i franchi tiratori. E poi, nonostante le smentite, fioccano i sospetti che un accordo sia preludio a un'intesa sul governo. Per tutte queste ragioni, i Dem si concentrano più sulle vicepresidenze: c'è chi ipotizza che alla Camera possa andare Rosato, e al Senato Anna Rossomando, orlandiana. Ma è una partita successiva, che si intreccia con quella dei capigruppo. Martina, che prova a tenere il Pd unito, in mattinata vede Luca Lotti e in serata, nell'aprire - Renzi assente - la prima riunione dei gruppi Dem, rende onore all'ex segretario. A tutte le aree del partito il reggente garantisce collegialità e si prende un mandato a ricomporre rispettando gli equilibri. Ma i renziani tengono alta la guardia e la minoranza aspetta il reggente alla prova dei fatti. Di fatto, un braccio di ferro.

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