PESCARA Questa volta i Tafazzi del centrosinistra si contano sulle dita di una sola mano. La maggioranza del Pd abruzzese si è invece ricompattata dopo la sconfitta del 4 marzo per affrontare alle elezioni regionali lo sparaucchio del M5S e magari prendersi la rivincita.In dieci ore di direzione regionale, divisa in due round, il secondo dei quali è andato in scena dalle 17 alle 22 di lunedì, nella sala Berlinguer di via Lungaterno a Pescara, il partito ha approvato una strategia d'attacco che parte sì da una profonda autocritica sulle cause della debacle, ma va oltre ipotesi di repulisti interno perché la sconfitta non è addebitabile a uno, due o tre persone, ma coinvolge tutti. Così, al di là di pochi personaggi, come il teatino Francesco Ricci, il pescarese Graziano Di Costanzo, il marsicano Michele Fina e qualche altro, rimasti in disaccordo, la maggioranza ha preferito una strategia di rinnovamento che dovrebbe portare alla scelta di un Nicola Zingaretti d'Abruzzo: un candidato governatore capace di ricucire le fratture con il resto della sinistra (nel Lazio era così fino a 48 ore fa) e con i cittadini che hanno deciso di non votare Pd e di dare le loro preferenze ai Cinque stelle. Lo Zingaretti d'Abruzzo sarà, anzi è, il primo punto fermo: un personaggio autorevole, capace di riportare a casa qualsiasi genere di figliol prodigo, anche il più riottoso. Anche quelle civiche come Abruzzo Insieme, di Andrea Gerosolimo e Donato Di Matteo, che sanno di valere molti consensi. Ma di civiche ne occorreranno altre, e questo è un altro punto fermo del progetto di rivincita. Che si basa anche su un comitato aperto a tutti che supera la figura del segretario Marco Rapino, dando un valore collegiale alle decisioni e mettendo fuori gioco chi, l'altra sera, ha puntato i piedi chiedendo dimissioni senza appello. E' questo il terzo punto fermo. Sarà Rapino però a convocare il comitato. C'è poi la figura operativa e centrale di Giovanni Lolli, come quarto punto, il cui compito sarà quello di recepire i suggerimenti della base per trasformarli in temi da mettere a frutto nel semestre bianco che separa il Pd dalle elezioni regionali. Il quinto perno su cui poggia il piano anti-M5S è rappresentato dal governatore-senatore Luciano D'Alfonso che, lunedì, parlando a fine riunione, ha chiesto alla platea se dimettersi subito o restare il più possibile nel limbo del doppio ruolo permettendo al Pd di riorganizzarsi e di preparare il terreno al supercandidato modello Zingaretti che un nome ce l'ha già. E la platea ha invitato D'Alfonso a resistere, se ce la fa, fino a dicembre nel suo ruolo di scudo umano. Ma il punto chiave del piano è un altro. Parte dall'autocritica e, dopo anni di disattenzione, dovrebbe riportare il partito leader del centrosinistra davanti alle fabbriche, in mezzo alla gente, nei luoghi del disagio e della precarietà, per raccogliere idee e suggerimenti. Un bagno collettivo di umiltà che il Pd ha perso insieme alle elezioni ma che ora deve riconquistare. È su questo sesto punto che la platea ha trovato l'unità sul programma di fine legislatura. Quelle idee, secondo il Pd, dovrebbero rappresentare la cinghia di trasmissione che rimette in movimento la giunta operativamente targata Lolli e finire anche a Roma attraverso i parlamentari abruzzesi del partito: oltre a D'Alfonso anche Stefania Pezzopane e Camillo D'Alessandro che sta per annunciare le dimissioni dal consiglio regionale.