ROMA È lui l'uomo che meglio rappresenta la materia prima con cui il Movimento sta tessendo la sua tela. Riccardo Fraccaro è lo zelig pentastellato per eccellenza. Grazie al suo silenzio proverbiale e all'atteggiamento compassato è il personaggio che compare ogni volta che la cruna dei passaggi politici affrontati dal M5S si fa stretta e insidiosa. Fraccaro ieri è stato eletto questore anziano di Montecitorio. Ed è stato il membro dell'Ufficio di Presidenza più votato in assoluto.
UMORI
Ha incassato 267 voti, 47 in più dei 222 provenienti dal gruppo M5S, e dieci in più della vicepresidente più votata Mara Carfagna. Per capire umori e strategie del futuro prossimo del M5S bisogna concentrarsi sulle mosse di questo trentaseienne trentino che in pratica sarà l'amministratore delegato della Camera. Un tipo trasversalissimo, fedele a Di Maio senza la necessità di rimarcarlo, uno pronto a entrare papa e uscire cardinale. Consigliere prezioso di Virginia Raggi, responsabile enti locali del nord, è stato il primo a riconvertire il reddito di cittadinanza inventandosi il reddito energetico, che ha personalmente presentato a Porto Torres, in Sardegna. Poi, certo, è stato pure designato come possibile ministro dei rapporti con il Parlamento. Ed è chiaro, da ieri, che non lo diventerà dimostrando che siccome non c'è un governo, e una maggioranza, l'esecutivo progettato da Di Maio è smontabile e che si può cominciare a governare il cambiamento istituzionale già alle camere con Roberto Fico e Paola Taverna che si sono tagliati le indennità. Il senso del voto su Fraccaro infatti è: «Finalmente taglieremo i vitalizi». Con chi? Con la Lega che ha votato in parte Fraccaro, e con FdI che ieri ha eletto il suo Edmondo Cirielli e che è già depositaria di una proposta di legge quadro sulle pensioni d'oro. A Cirielli sono mancati 40-50 voti della coalizione.
«Se tagliamo vitalizi e 1 miliardo di euro di costi della Camera con la Lega grazie a Fraccaro, Spadoni, Sibilia, Liuzzi, Spadafora e Cancelleri, chi può impedirci di ragionare su un governo insieme?», spiega una fonte vicina a Di Maio. Ma c'è chi si dà tempo tre settimane e il secondo giro di consultazioni al Colle per capire cosa fare davvero.
Il capo politico M5S nel suo video di resoconto parlamentare dice: «Abbiamo invitato i capigruppo delle altre forze politiche al confronto, per sapere se ci sono convergenze sui temi e posso dirvi che ci sono, sia a destra sia a sinistra». Dunque la speranza di intavolare un confronto foriero di voti di fiducia con il Pd non è tramontata anche se Di Maio cerca di scuoterli: «L'unico gruppo che finora si è sottratto completamente al confronto sui temi è stato il Pd, che sta ancora portando avanti la linea di porsi come freno al cambiamento». Di Maio ha riunito i suoi a pranzo per fare il punto e Alfonso Bonafede dopo aver subito gli attacchi del dem Michele Anzaldi condivisi da Salvini («Reddito di cittadinanza? Pura propaganda perché è un rifinanziamento del Rei», ndr) precisa che il reddito di cittadinanza è una misura diversa da quello universale, al momento non percorribile. E in serata il capogruppo M5S Danilo Toninelli ricambia il ramoscello d'ulivo mostrato giorni fa da Giorgetti «Se la flat tax è costituzionale e include i poveri noi non chiudiamo mai». Sul Def pentastellato potrebbe infatti apparire quella razionalizzazione delle aliquote Irpef che appiana i carichi fiscali. E prima del Def ne parleranno faccia a faccia Salvini e Di Maio nel loro incontro post pasquale.
Voto, la strada è sbarrata Berlusconi: per FI tratto io
ROMA Probabilmente molti degli argomenti che le delegazioni di tutti i partiti useranno a metà della prossima settimana nei colloqui con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, saranno diversi da quelli emersi nelle dichiarazioni pubbliche. Se così non fosse, lo stallo in vista della costruzione di un governo non sarebbe aggirabile a breve e occorrerà qualche giorno di riflessione per incontrarsi di nuovo in un altro giro di consultazioni.
Segnali e volontà concrete per ora scarseggiano. Se non fosse la sotterranea intesa M5S-Lega che permette ai due litiganti di evitare che il terzo goda. Ed infatti al Pd hanno levato quasi tutti gli incarichi negli uffici di presidenza delle Camere e sia Di Maio che Salvini provano a tenere in scacco i dem.
IL RINVIO
Il rischio che la situazione di stallo porti nuovamente alle urne è stato evocato ieri l'altro da Matteo Salvini e ieri tornava in molti colloqui che si sono intrecciati nel Transatlantico. Parlare di ritorno al voto significa però che la politica e i partiti si arrendono. Senza contare che il percorso per arrivarci non sarebbe comunque facile. Alcuni passaggi vengono infatti sottovalutati. Il primo è che tornare al voto a giugno è pressoché impossibile. A meno che non si immagini uno scioglimento già la prossima settimana, o di aprire i seggi elettorali ad agosto. In autunno non si è votato lo scorso anno - malgrado ci fosse chi lo chiedesse - come negli anni precedenti. La necessità di mettere i conti in sicurezza attraverso il varo della legge di bilancio, resta sempre un valido e sentito argomento per rinviare. Si potrebbe, come già sostenuto da qualcuno, tornare alle urne nella prossima primavera. Magari a ridosso delle elezioni europee. Possibile, certo. Ma intanto occorre dare al Paese un governo perché superare l'estate con un esecutivo in carica solo per gli affari correnti, potrebbe rappresentare un rischio. Senza contare che un governo serve se si vuole mettere mano alla legge elettorale ed evitare che dopo il voto ci si ritrovi nella situazione attuale.
I SEGNALI
E così si torna al nodo della questione e a quella sorta di ineluttabilità di accordo - mini o maxi che sia - che potrebbe spingere forze politiche a corto di argomenti a chiedere un aiuto al Capo dello Stato. Uno scenario che il Quirinale, a pochi giorni dalle consultazioni, non intende nemmeno prendere in esame confidando sulle possibili soluzioni che potrebbero offrire i rappresentanti delle delegazioni dei partiti. Sinora non ne sono arrivate, ma le consultazioni al Quirinale sono un rito della Repubblica dove è più complicato nascondersi. La Pasqua impone a tutti una pausa di riflessione. Mattarella resterà a Roma in vista degli incontri. Si comincia mercoledì con i presidenti delle Camere Casellati e Fico e poi, a seguire, le delegazioni di tutti i gruppi parlamentari cominciando dal più piccolo sino al M5S. L'arrivo di moltissimi parlamentari grillini e leghisti nei ruoli chiave di Camera e Senato rende scontato l'intervento sui vitalizi degli ex parlamentari. Qualche segnale tra i due partiti sul programma emerge, ma la sostanza non cambia. Salvini non molla Berlusconi. «Per FI tratto io», ripete il Cavaliere che giovedì salirà al Quirinale. Ma il M5S non vuole i voti dell'ex premier nemmeno in fotografia. Dal canto suo Di Maio continua a pensare di essere l'unico candidato possibile per palazzo Chigi, a meno che - sostiene - non si voglia smentire il dato elettorale.
Se Di Maio si è incartato, puntando prima sul Pd e poi sulla spaccatura del centrodestra, è presto per dirlo. Se così fosse il Movimento dell'uno vale uno, potrebbero chiedergli un passo di lato. Magari non subito ma tra qualche settimana. Se invece Di Maio insiste si avverano i sospetti di coloro che da tempo pensano che l'asse Di Maio-Salvini punti in realtà al voto subito. La sensazione è che però in questo caso dovranno vedersela non solo con Mattarella ma anche con il Paese.