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Data: 30/03/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Esecutivo grillini-Lega, gli elettori dei due partiti: «Pronti al compromesso». Fronda pd: aprire a M5S No di Renzi: opposizione

ROMA Le schermaglie tra i partiti sulla formazione del governo sono messaggi diretti ai propri elettori. La partita sarà lunga, complessa, faticosa e tutti i leader hanno l'esigenza di marcare, per il momento, il territorio elettorale. Il tempo delle intese è ancora lontano e l'avvio prossimo delle consultazioni del Quirinale fa posizionare i partiti in trincea.
Dovranno scorrere i giorni delle consultazioni presidenziali per far allentare la presa, per evidenziare la fase di stallo e consentire ai leader (anche rispetto ai propri elettorati) di incamminarsi sulla ricerca della convergenza. Sarà solo allora che potranno, senza incorrere nell'accusa di inciucismo, abbandonare alcune rigidità.
In questa prospettiva è interessante analizzare quanto sta accadendo nei vari elettorati di riferimento, in primis tra quello grillino e quello salviniano, per individuare quali sono i temi programmatici che possono essere sacrificabili (almeno parzialmente) sull'altare della convergenza per il governo del Paese.
GLI ARROCCATI
Tra i Cinquestelle, il 57% degli elettori è disponibile a sacrificare qualche aspetto del programma per consentire la nascita di un governo con altri partiti (in primis la Lega), mentre il 43%, per il momento, è arroccato sul non si cede su niente.
Nelle fila leghiste il quadro è un po' più fluido. Gli elettori di Salvini sono più abituati a governi di coalizione, alle intese, alla necessità di una mediazione tra le parti e come tale troviamo il 63% disponibile a concedere qualcosa sul programma elettorale, mentre il 37% è su posizioni puriste e intransigenti.
Ma quali sono i temi su cui la maggioranza dei due elettorati è disposta a fare delle concessioni? Le risposte rivelano le motivazioni profonde che hanno spinto gli elettori a scegliere M5s o la Lega. Per il 23% degli elettori pentastellati il punto programmatico maggiormente sacrificabile è il reddito di cittadinanza. Il dato è netto e aumenta la sua portata se si osserva che tra il 57% degli elettori che si dicono disposti a trattare ben il 40% lo ritiene sacrificabile.
I due temi che gli elettori M5s segnalano come maggiormente intoccabili sono i provvedimenti anticorruzione e le misure di welfare per le famiglie.
Sul fronte leghista, invece, il tema maggiormente trattabile riguarda la lotta contro l'Europa (21%). L'argomento su cui gli elettori di Salvini sono poco disposti a trattare, invece, è quello della legge sull'autodifesa.
Passando dalle concessioni programmatiche, alle priorità di governo, il quadro delle attese è ampio. Al primo posto, gli italiani (e non solo gli elettori di M5s e Lega) mettono gli incentivi per l'avviamento al lavoro di giovani e adulti (preferiti al reddito di cittadinanza). Sugli investimenti al Sud gli italiani si dividono e una buona metà preferisce nuove forme di assistenza.
Anche gli investimenti in materia di sicurezza e innovazione spaccano il Paese, mentre non ci sono dubbi sul blocco dei migranti. Il taglio delle maxi pensioni, invece, è preferito allo stop alla legge Fornero; così come la riduzione graduale della pressione fiscale è prediletta rispetto alla flat tax. Nessun dubbio, infine, sul dimezzamento degli stipendi ai parlamentari. Le attese nei confronti del prossimo governo, come si vede, sono molto alte e la sfida non sarà da poco.


Fronda pd: aprire a M5S No di Renzi: opposizione

ROMA «Cari colleghi, dobbiamo discutere». Il primo a prendere la parola dopo l'introduzione di Graziano Delrio è Dario Franceschini. E subito i presenti, i deputati dem riuniti in assemblea, capiscono che non è un rituale invito al dibbbattito, ma l'apertura, o la riapertura, della discussione su che cosa deve fare il Pd dopo la sberla elettorale, se rifuguarsi nell'opposizione o se declinare la stessa con aggettivi politicamente significativi tipo responsabile, costruttiva, dialogante, propositiva, e via stingendo fino quasi a farla scomparire, l'opposizione.
Sorpreso rimane anche il capogruppo Delrio, che aveva convocato la riunione per discutere degli uffici di presidenza da votare in aula, ma vista la piega non ha chiuso la discussione ma ha preferito farla sviluppare. «Qui bisogna riflettere, vedere bene come mettere in campo una nostra iniziativa, non possiamo solo tirarci fuori da qualsiasi soluzione riguardante il governo da dare al Paese», incalza Franceschini, che alla fine propone di riunire i gruppi prima di andare alle consultazioni al Quirinale.
LA LINEA
Riunirli, ovviamente, non per il piacere di trovarsi insieme, ma per cambiare la linea decisa in direzione, quella dell'opposizione. «Eh no», replica subito Lorenzo Guerini molto meno forlaniano del solito, «la linea è stata decisa in direzione, riunire i gruppi prima delle consultazioni non ha senso, dopo sicuramente sì». Si susseguono gli interventi, tocca a Fassino, Scalfarotto, Orlando, Verini, Pollastrini, e il fronte aperturista si allarga, il cosiddetto partito collista, nel senso di attento al Colle, esce prepotentemente allo scoperto.
Spiega ad esempio il veltroniano Verini: «Dobbiamo invece far pesare la nostra iniziativa. Se per la presidenza del Senato avessimo proposto la candidatura di Emma Bonino magari perdevamo lo stesso, ma almeno avremmo marcato una presenza politica significativa, e invece siamo stati irrilevanti». Spiega a sua volta Orlando: «Opposizione d'accordo. Ma la facciamo da destra o da sinistra, riproponiamo il jobs act o diciamo che alcune cose non vanno e sono da rivedere? Non basta dire tocca a loro», che è l'hastag di Matteo Renzi subito dopo le urne.
I renziani mordono il freno, qualcuno e qualcuna non riesce a trattenersi e nel Transatlantico conia per Orlando il nomignolo di piccolo Corbyn, nel senso che «non se ne vuole fare una ragione, quel tipo di sinistra è in esaurimento, se ne sono accorti in Europa e pure dalle parti di Leu».
Sul fronte opposto a Orlando, come al solito, Matteo Orfini: «Chi pensa che dobbiamo fare una maggioranza con il M5S lo dica, io sono contrario». Sul suo ex capo corrente Franceschini va giù duro Emanuele Fiano: «E' scorretto, oltre che politicamente inopportuno, usare una riunione finalizzata agli uffici di presidenza per aprire il confronto interno già concluso in direzione».
Al reggente Martina non rimane che mediare, ma più dalla parte renziana, proponendo convocazione di gruppi e direzione dopo le consultazioni. E Renzi, il convitato di pietra? Parla attraverso la e-news, dove cita a esempio Pierluigi Castagnetti «che con il suo splendido intervento sulla dignità dell'opposizione ci indica che la strada è proprio quella, stare all'opposizione». Una citazione non a caso, visto che Castagnetti è un punto di riferimento di Franceschini, ma adesso non ne condivide la linea e Renzi se lo ritrova accanto. I toni non sono ancora aspri, la discussione è solo avviata, ma già qualcuno si chiede se e quanto il gruppo renziano, che è ancora maggioranza, saprà resistere alle sirene quirinalizie volte a verificare la possibilità di varare una maggioranza con dentro il M5S e il Pd. I renziani, ultras o meno, sono comunque sul chi va là e meditano di presentare un proprio esponente all'assemblea del Pd che dovrà eleggere il segretario.

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