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Pescara, 24/07/2024
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Data: 31/03/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Reddito, Salvini apre e gioca la carta Regionali I grillini: premier a noi.Renzi stoppa la fronda: no ai 5Stelle Ma nel Pd è l'ora di sospetti e veleni

ROMA Giochi di specchi e di sponde. Messaggi in bottiglia e segnali di fumo, tipici di chi si annusa e ancora non ha deciso. Il M5S e la Lega sono ancora in una fase preliminare del dialogo che da settimane dicono di voler intavolare. È che sono entrambi concentrati sulle elezioni regionali in Molise e in Friuli Venezia Giulia (22 e 29 aprile), dopo le quali soprattutto Matteo Salvini è convinto di poter andare a un nuovo giro di consultazioni al Quirinale con una golden share consolidata.
LE POSIZIONI
«Tra qualche giorno si vota nelle regioni: una bella vittoria del centrodestra lancerebbe un bel segnale al Quirinale...», dice il leader leghista. In Friuli corre il suo fedelissimo Massimiliano Fedriga che del dialogo gialloverde fa volentieri a meno per ovvi motivi: «Il reddito di cittadinanza? Andrebbe agli stranieri», ha detto parlando la lingua sicuritaria e nordista che parlava Salvini prima del 4 marzo.
Ma la proposta grillina è stata inoculata ormai nel Carroccio. Basta vedere come giocano amorevolmente a scacchi i due commercialisti degli schieramenti: Giancarlo Giorgetti e Stefano Buffagni. Ma anche lo stesso Salvini ha concesso una linea di credito, al netto delle bizze dell'altro ieri (il retweet di Anzaldi che squalificava la ricetta M5S): «Se è un investimento temporaneo per chi ha perso il lavoro ed è in attesa di trovarne uno nuovo ne possiamo parlare». E lo dice solo perché il M5S lo ha rassicurato sulla sua flat tax su cui Toninelli non ha nulla da eccepire, salvo rilievi della Consulta.
Salvini ha rilanciato alla grande i suoi temi: giù le tasse, via la legge Fornero, controllo delle frontiere ed espulsione clandestini.
L'INTERVENTO
E anche Davide Casaleggio si è fatto portavoce di uno spirito liberale e nordista. Lo ha fatto con un intervento su facebook in cui risponde a un docente della Bocconi che boccia l'idea dello stato innovatore e investitore del M5S. Casaleggio parla di «aspetti da gestire per lo sviluppo di un ecosistema del finanziamento in Italia come l'educazione tecnico-scientifica, le regole del mercato del lavoro, il funzionamento della giustizia, la semplificazione fiscale e burocratica e la certezza del diritto».
Ma dice di più, dice che bisogna «sistematizzare gli investimenti pubblici già attivi, spesso tramite finanziarie regionali, e potenziare il meccanismo di fondi in modo che non sia lo Stato a decidere la bontà delle iniziative, bensì funga da acceleratore del mercato». Una visione che mette al centro le imprese come motore di lavoro e sviluppo al punto da auspicare che «le aziende italiane riescano «a espandersi acquisendo quelle estere e non il contrario».
Intanto Salvini e Di Maio rivendicano tutti e due la premiership. Ne parleranno nel loro incontro a due dove verrà preso in considerazione anche il nodo, problematico per M5S di Silvio Berlusconi. Ma al contrario di Salvini i Cinquestelle di una cosa sono certissimi: «Luigi Di Maio è l'unico candidato premier del MoVimento 5 Stelle con cui intendiamo andare al governo e cambiare il Paese dando finalmente agli italiani le risposte che attendono da trent'anni».

Renzi stoppa la fronda: no ai 5Stelle Ma nel Pd è l'ora di sospetti e veleni

ROMA Scolpire sulla pietra la linea dell'opposizione. E' questo l'imput dato Matteo Renzi a quattro giorni dalle consultazioni. Il pressing per aprire un dialogo con M5s, che Dario Parrini definisce «stalking mediatico», non ha per ora ricadute concrete: a parte Michele Emiliano, che viene rintuzzato da Carlo Calenda, nessuno chiede apertamente un sostegno a Di Maio. Ma nella guerra di nervi e sospetti che si è aperta nel Pd, il fattore tempo è importante: al secondo giro di consultazioni il fronte «dialogante» guidato da Dario Franceschini e Andrea Orlando potrebbe rafforzarsi. Ma, avvertono i renziani, non l'avrà vinta.
«Il Pd», afferma il capogruppo Andrea Marcucci, «starà all'opposizione. Se qualche dirigente vuol cambiare posizione, lo dica chiaramente. Noi non sosterremo mai un governo del M5S e nessun governo Lega-5Stelle. La linea che porteremo al Colle è quella votata all'unanimità in Direzione». E da Mattarella andranno in quattro: il reggente Maurizio Martina, il presidente Matteo Orfini e i due capigruppo, Graziano Delrio e appunto Marcucci.
Delrio assicura che la discussione non è sul «se» stare all'opposizione ma sul «come». «Stiamo attenti a un dibattito sterile tra isolamento e apertura», afferma Martina. La priorità, ricorda, è riconnettersi con gli elettori sfidando gli altri partiti sulle idee.
Tutto risolto? No, perché dopo la sortita di Franceschini e Orlando, il sospetto è che discutere sul «come» essere minoranza, sia un modo per aprire al M5s. E i renziani diffidano anche di Martina, che secondo qualcuno si candiderebbe da «capo del correntone governista» alla segreteria nell'assemblea del partito, che però potrebbe slittare a giugno, dopo le elezioni comunali. Il punto, ribattono i franceschiniani, è non restare «congelati» in una linea di «opposizione e basta» e offrire una sponda a Sergio Mattarella nel lavoro che lo attende.
«Se torniamo alle correnti che si fanno la guerra sottobanco e lavorano per il M5S consegniamo il Paese ai populisti per sempre», avverte il neo iscritto Calenda, che attacca Michele Emiliano e chi «boicotta» il Pd.
Un governo con Di Maio è comunque impossibile per una questione di numeri: o tutto il Pd sosterrà il M5s o un esecutivo non potrà nascere. Il sospetto dei non-renziani è che a fronte del «mai» al M5s, gli uomini vicini a Renzi coltivino la tentazione di un appoggio esterno a un governo di centrodestra. Insomma, veleni e scambi di accuse.
Quel che è certo è che la situazione è mobile, c'è chi sostiene che il fronte vicino all'ex segretario non sia più così granitico. I timori dei renziani si appuntano sulla tenuta del gruppo della Camera dove siedono numerosi «big». Ma sarà la Direzione (dovrebbe riunirsi dopo il primo giro di consultazioni), a dare la linea - precisa Ettore Rosato - non i gruppi.

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