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Data: 31/03/2018
Testata giornalistica: Il Centro
«Solo Di Maio per palazzo Chigi». I grillini non cedono. Salvini punta sulle Regionali: «Se vince il centrodestra segnale al Colle». Gli ostacoli sulla strada M5s-Lega. La premiership, i programmi, il ruolo del leader di FI, il voto in Molise e Friuli

ROMA Matteo Salvini tesse la sua tela di ragno attorno al M5s e pazientemente porge la mano ai possibili alleati fingendo di non stabilire condizioni al dialogo, soprattutto sulla leadership. Ma la strada per quanto lo riguarda sembra averla già tracciata: «Si parte dal centrodestra». Dopo lo sforzo diplomatico abilmente giocato dalle retrovie sullo scacchiere degli uffici di presidenza delle due Camere, il leader della Lega ora sembra dettare le condizioni e guarda al calendario: «Tra qualche giorno si vota in due Regioni, Molise e Friuli: una bella vittoria del centrodestra lancerebbe un segnale al Quirinale...». Insomma, Salvini è convinto che il tempo e il possibile nuovo responso delle urne non possa che favorire il suo piano. Poi torna a rivolgersi ai 5Stelle per sfidarli al dialogo sul programma in vista del vertice atteso ad inizio settimana: giù le tasse, via la legge Fornero, controllo delle frontiere e espulsione dei clandestini. È un punto di partenza che guarda anche al programma dei 5Stelle e a cui aggiunge la sostanziale apertura al reddito di cittadinanza. «Se è un investimento temporaneo per chi ha perso il lavoro ed è in attesa di trovarne uno nuovo ne possiamo parlare». È una concessione che fa il paio con l'apertura alla flat tax già messa sul piatto dal MoVimento, anche lì a certe condizioni. «Vediamo se dai Cinquestelle ci sono solo chiacchiere o c'è voglia di mettersi a tavolino per risolvere i problemi sul serio, a partire dall'Europa», li sfida Salvini.Ma i 5Stelle per il momento sono fermi su una sola questione, sulla quale sembrano irremovibili: il sostegno alla premiership di Luigi Di Maio. È lui «l'unico candidato premier del M5s con cui intendiamo andare al governo e cambiare il Paese dando finalmente agli italiani le risposte che attendono da trent'anni», ripetono i pentastellati. Lo fanno per smentire le indiscrezioni secondo cui Di Maio sarebbe disposto ad un passo indietro e che avrebbe pronto un programma in 5 punti da sottoporre al Pd. Una smentita fatta rimbalzare con forza sul blog, sui social e facendo scendere in campo l'eminenza solitamente silente, Emilio Carelli. Che ribadisce invece quella che è la politica dei due forni che sta tentando il M5s. «Dialogo con tutte le forze politiche, a destra e a sinistra, nell'interesse del Paese, affinché si faccia un governo» ripete.D'altra parte mentre Salvini, vulcanico come sempre anche dalla sua vacanza a Ischia, ripete il suo «mai» con il Pd e commenta con un «mamma mia» l'ipotesi di accordo M5s-Dem, Di Maio resta a Roma a lavorare (con una strana puntata in un negozio di informatica) senza parlare. E guardando al sommovimento in casa Pd dove, dopo la richiesta di Franceschini e Orlando di apertura al dialogo con i 5Stelle, i renziani vanno all'attacco: «La nostra linea è stare all'opposizione, se qualche dirigente vuole cambiare posizione lo dica chiaramente». Sulla strada di un accordo M5s-Lega resta invece l'ostacolo di Berlusconi che non sembra volere affatto fare passi indietro. «Tutte le forze politiche responsabili hanno il dovere di dare ai cittadini risposte concrete», dice con uno sguardo all'udienza sulla sua riabilitazione che il Tribunale di sorveglianza di Milano dovrebbe tenere a luglio. Ma, lo difende Salvini: «Non è che uno si siede al tavolo e dice: tu non mi piaci, vai via! Si parte dai progetti, non dai nomi, dai premier». D'altra parte, Giovanni Toti, uno dei primi ufficiali di collegamento tra Lega e Fi, è ottimista: «C'è una possibilità che le forze politiche si accordino, le mediazioni sono indispensabili. Penso che si debba partire dal centrodestra e che i 5Stelle possano negoziare un programma minimo su cui è d'accordo». A quel punto, servirà un premier «incaricato a trattare sia con Berlusconi, che con Di Maio» e Salvini potrebbe lui «fare da cerniera».

Gli ostacoli sulla strada M5s-Lega. La premiership, i programmi, il ruolo del leader di FI, il voto in Molise e Friuli

ROMA Non sarà una Pasqua risolutiva per la formazione del governo. È evidente che Luigi Di Maio e Matteo Salvini hanno calzato l'elmetto posizionando le loro truppe in due trincee vicine, ma dalle quali si spara evidentemente a salve. Ormai è chiaro che i due leader vogliono l'intesa ma ci sono quattro ostacoli da rimuovere per un governo «Salvimaio» e certamente non basterà il primo giro di consultazioni che Sergio Mattarella avvierà mercoledì: la premiership, che sia Salvini che Di Maio rivendicano, anzi per ora pretendono; la distanza sui programmi, dove però sono in corso prove tecniche di avvicinamento (anche ieri il segretario della Lega ha aperto al reddito di cittadinanza); il ruolo di un Silvio Berlusconi tornato pimpante, come conferma la volontà di guidare personalmente la delegazione di Forza Italia al Quirinale; «last but not least» le elezioni regionali che si avvicinano di gran carriera e sulle quali Salvini punta molto.L'attesa per le regionali in Molise (22 aprile) e, soprattutto, per quelle in Friuli potrebbe rallentare la chiusura di un accordo perché da quel risultato ci potrebbero essere ulteriori conferme della volontà politica degli elettori. «Tra qualche giorno si vota nelle regionali: una bella vittoria del centrodestra lancerebbe un bel segnale al Quirinale, vorrebbe dire che in Italia c'è voglia di un cambio», ha sottolineato Salvini da Ischia dove sta passando le vacanze senza minimamente interrompere il suo attivismo mediatico. Una dichiarazione che conferma come lo stesso Salvini abbia in mente tempi lunghi per la soluzione della crisi. Sottolineatura che è ben presente al Quirinale, dove ci si prepara a un lungo ascolto proprio sulla base di difficoltà che sembrano superabili con un po' di buona volontà. Buona volontà che Salvini e Di Maio dovranno dimostrare sul primo punto citato, la premiership. Sembra evidente che nessuno dei due voglia rinunciare ad ottenere l'incarico da Mattarella ma sembra anche probabile che il presidente non punterà su chi non è in grado di dimostrare di avere una maggioranza parlamentare. E allora? Si fa strada sempre più l'ipotesi di una figura terza. In questa prima variabile si inserisce poi dirompente il ruolo di Silvio Berlusconi: Salvini è forte con i voti di Forza Italia e Di Maio ha difficoltà a far accettare alla sua base anche un ruolo marginale dell'ex Cavaliere nel governo. Servirà tempo. Molto tempo.

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