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Data: 17/04/2018
Testata giornalistica: Il Centro
Tasse, la protesta dei 5mila: «Così soffocate il territorio». Corteo unitario di politici, cittadini e imprese: la città ha bisogno di rinascere

Rabbia, orgoglio e paura. L'Aquila oggi vive fra sentimenti contrastanti. La rabbia causata da una evidente ingiustizia, l'orgoglio di una città ferita ma che non intende abbassare la testa, la paura per un futuro del quale non si intravedono i contorni precisi. Chi pensa che la ricostruzione materiale e sociale del capoluogo d'Abruzzo sia ormai un capitolo chiuso, ieri mattina avrebbe dovuto partecipare al corteo - che si è snodato lungo l'asse centrale del centro storico - contro la restituzione di circa 75 milioni di tasse sospese a oltre 300 imprese - fra il 2009 e il 2010 - a seguito del terremoto del 6 aprile.Hanno sfilato migliaia di aquilani. Come al solito le cifre sono ballerine: da 2.500 a 5.000. Comunque tanta gente se si pensa che la manifestazione si è svolta in un giorno feriale e tanti non hanno potuto partecipare. È stata una prova di forza e allo stesso tempo di debolezza. La forza di chi con l'acqua alla gola tenta di resistere e se possibile riemergere e tornare sul bagnasciuga. La debolezza di un tessuto economico e produttivo già in affanno prima del terremoto e che oggi nonostante i miliardi della ricostruzione è in coma. Quei 75 milioni da "trattenere" nelle casse aziendali sono come l'ossigeno per un moribondo: non risolvono il male alla radice ma servono a prendere tempo in attesa di terapie più efficaci. Quello che si è visto ieri all'Aquila non ha nulla a che spartire con i cortei e le proteste a cui siamo abituati. Nessun vessillo di partito o di sindacato ma solo bandiere neroverdi (i colori che la città adottò dopo il terremoto del 1703): il nero del lutto e il verde della speranza. Politici che di solito si guardano in cagnesco hanno sfilato a braccetto. Zero slogan se si eccettua quello inciso sullo striscione che apriva il corteo: "No al terremoto fiscale". E poi gli operai. Sono stati loro ben guardare i veri protagonisti della giornata in una versione che non ti aspetti: lottare non contro il "padrone" ma insieme al "padrone". Hanno partecipato con i loro caschetti multicolori e i giubbetti usati ogni giorno in cantiere. Quasi tutti di imprese aquilane, quelle direttamente colpite dal provvedimento (che parte dall'Europa ma passa per le burocrazie romane) che prevede appunto la restituzione del 100 per cento delle tasse sospese nel post-sisma. Basta guardarli in faccia uno per uno per capire che per loro la posta in palio è altissima. Il "padrone" nella peggiore delle ipotesi chiude l'azienda e licenzia.Per chi fa affidamento solo sul salario mensile perdere il lavoro sarebbe una tragedia appena paragonabile a quella del sisma di 9 anni fa. Parlottano fra di loro, si scambiano sguardi pieni di interrogativi, qualcuno prova a buttarla sul calcio, sul rigore dato o negato. Ma dura poco. I pensieri oggi sono altri. Ci sono famiglie da mantenere, figli da mandare a scuola, tasse universitarie e libri da pagare. E magari - se ci scappa - anche il sogno estivo di una settimana al mare. Sono loro che stanno ricostruendo la città, appollaiati sui ponteggi, con temperature proibitive d'inverno e 40 gradi d'estate. A circa metà corteo arriva Giorgia Meloni leader di Fratelli d'Italia, lo stesso partito del sindaco Pierluigi Biondi. La giornata è limpida e calda.La Meloni si toglie il copriabito e spunta una maglietta rossa su un pantalone nero. Qualcuno nota "l'inciucio" ideologico. Un fan - isolato - quando vede il rosso grida: la fiamma, la fiamma. Ma sono battute che si perdono nel vocìo che sembra quasi un brusio. Nessuno ci fa caso. Oggi non c'è spazio per dividersi in maniera strumentale. La muraglia di telecamere e smartphone racconta al mondo una città che se vuole sa unirsi. Forse, come ricorda un volantino del comitato 3.32 e di Coalizione sociale distribuito lungo il corteo, bisognerebbe farlo più spesso come era accaduto nel 2010 quando i cittadini rivendicarono - prendendo anche le botte davanti ai palazzi romani - case e lavoro in tempi più rapidi possibili. Un'oretta e il corteo approda alla villa comunale dove il cassone di un camion è diventato la tribuna degli oratori. Il sindaco Biondi accompagna la Meloni e non si trattiene dal farsi un selfie insieme alla sua leader con sullo sfondo la marea umana che riempie la villa comunale. Prende la parola Giovanni Lolli, il vicepresidente della giunta regionale. Parla una decina di minuti. È stato forse uno dei suoi migliori interventi da quando ragazzino o quasi faceva i comizi in piazza con il simbolo del Pci alle spalle. Stentoreo, lineare, preciso nell'allineare i fatti, mai un'inflessione di voce; con i governi passati e presenti usa un po' di bastone e un po' di carota, quando cita la "cattiva" ministra Elsa Fornero sul palco è tutto sorrisetti e sguardi complici. Parla di ingiustizia e persino di illegalità. Scuote la platea che gli dedica due tre applausi convinti. Poi parla il sindaco Biondi. Anche lui sembra più in forma del solito. La parola orgoglio fa da filo rosso al discorso, non fa mancare il richiamo a «L'Italia prima dell'Europa», strappa un paio di applausi, rivendica le lotte del passato e invita tutti a non mollare. Fine della giornata. Anzi no. Novello Berlusconi, mentre Biondi e la Meloni si girano per lasciare il palco improvvisato, Lolli riprende il microfono: «Ah, un'ultima cosa: non escludo che se non ci staranno a sentire, dovremmo farci una passeggiata a Roma». Apoteosi. Sipario.

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