ROMA Scendete alla prossima: il servizio di trasporto pubblico della Capitale è a rischio revoca. Nelle pieghe di un burocratico carteggio tra la Motorizzazione di Roma (braccio locale del ministero dei Trasporti) e il Campidoglio a trazione M5S spunta l'ennesima grana per Atac. La municipalizzata più grande d'Italia, che già balla sul baratro del fallimento con un concordato preventivo da 1,3 miliardi di euro che deve essere accettato dal tribunale, adesso si trova davanti a un aut aut.
Ovvero: l'azienda ha tempo fino al 30 maggio per tornare a essere iscritta nel Registro elettronico nazionale (Ren). L'atto è già scaduto da sei mesi. Ora ce ne sono altri due scarsi. Nel frattempo, come atto dovuto, sono già iniziate le procedure di revoca della concessione del servizio di trasporto pubblico. Come nasce questo problema? Per ottenere l'iscrizione al Registro servono delle garanzie finanziarie che al momento non si trovano nella pancia di Atac. In alternativa, il Campidoglio, per conto della sua controllata, dovrebbe presentare una fideiussione bancaria da 10 milioni di euro. Finora, però, il giro presso le banche non ha prodotto alcun tipo di risposta. Proprio perché si parla di Atac, società dai conti rossi che più rossi non si può, per la quale nessuno se la sente di fare da garante. E così è nato il problema che alla fine ieri pomeriggio, complice un lancio dell'agenzia Dire, è esploso. Uscendo dai binari della burocrazia per arrivare fino a Via Nomentana, sede del ministero dei Trasporti. La linea di Graziano Delrio, titolare uscente del dicastero, non è quella dello scontro, vista anche la delicatezza del momento e le possibili ricadute concrete sulla Capitale.
Allo stesso tempo l'esponente dem sottolinea come la pratica fosse «nota da tempo al Comune» e che dunque Virginia Raggi non può essere parte passiva della vicenda ma propositiva». In poche parole: il Comune doveva muoversi prima, invece di arrivare a questa situazione. Che rimane molto complessa e dunque i toni sono bassi e votati alla ricerca di un accordo per uscire dal tunnel. Stessa linea del Campidoglio che, non a caso, minimizza. E si limita a dire che «l'ufficio della Motorizzazione ha soltanto riconosciuto ad Atac un termine di 60 giorni entro cui presentare memorie o documenti per riscontrare la propria idoneità finanziaria all'esercizio del trasporto pubblico». Si tratta, è la linea soft che esce dalle stanze della sindaca Raggi, «di un adempimento previsto dalla legge al quale l'azienda sta ottemperando, d'intesa con Roma Capitale». L'unica via di uscita, nel caso in cui non si trovasse una banca disposta a firmare una fideiussione, porta al tribunale. Con il via libera al concordato preventivo il patrimonio di Atac tornerà in attivo e l'iscrizione al Registro sarebbe automatica. Fino a quel momento servono gli istituti di credito. Ma se non dovessero esserci e se soprattutto la procedura fallimentare finisse nel peggiore dei modi, allora il banco salterebbe. Forza Italia, con il consigliere regionale Antonello Aurigemma, è pronta a rivolgersi al prefetto Paola Basilone perché «il servizio pubblico della Capitale è a repentaglio». Il Pd coglie l'occasione per andare allo scontro. E con il capogruppo in Campidoglio Giulio Pelonzi chiede «che la sindaca e l'assessore Meleo riferiscano in Aula domani (oggi, ndr)». La dem Ilaria Piccolo, sostiene, che questa faccenda «mostra ancora una volta i pasticci, l'inadeguatezza e il pressappochismo che caratterizzano l'amministrazione Raggi». La polemica apre un fronte già scavato, quello di Atac, appunto. Nemmeno i radicali, promotori del referendum del 3 giugno sul futuro del trasporto locale a Roma, stanno a guardare. Il deputato Riccardo Magi dice che tutta questa «cagnara» serve a coprire la corretta informazione che il Comune dovrebbe dare ai romani sulla consultazione referendaria. Dal Campidoglio giocano una doppia strategia. Da una parte gettano acqua sul fuoco e spiegano: «Il servizio non è a rischio, i bus continueranno a correre normalmente» (affermazione che si presta a ironia). Dall'altra, i grillini sottolineano tra le righe che di fatto la cancellazione dell'iscrizione al Ren è un motivo in più per fare in modo che il concordato vada in porto e il Tribunale dia il via libera. Rimangono i fatti: la Motorizzazione ha attivato le procedure di revoca del servizio, il Comune è alla ricerca di una sponda tra le banche che non si fidano, Atac continua a correre verso l'ignoto. Come possono confermare romani e turisti.
«Abbiamo due mesi per fornire le carte niente allarmismi, il servizio va avanti»
«Questa vicenda non avrà nessun impatto sul concordato. Il servizio di bus e metro andrà avanti, Atac non fallirà», dice convinta Linda Meleo, l'assessore ai Trasporti della giunta grillina di Virginia Raggi, dopo una girandola di riunioni in Campidoglio per capire come sminare l'ennesima grana piovuta sulla malandata azienda dei trasporti pubblici di Roma.
Assessore, la Motorizzazione della Capitale, per conto del ministero dei Trasporti, ha scritto che per l'Atac è stato avviato il procedimento di revoca della concessione. Restano 60 giorni, come se ne esce?
«Intanto mi faccia dire che continuiamo a parlare col ministero, l'interlocuzione va avanti. È vero, la proroga iniziale di sei mesi è scaduta, ma abbiamo altri due mesi per far sì che l'azienda fornisca tutti i documenti necessari a chiudere la pratica. È una questione burocratica, mi creda».
Dice?
«Sì, sono convinta che la risolveremo. Voglio rassicurare sia i cittadini che i dipendenti dell'Atac: ad oggi non c'è stata la revoca del servizio e non ci sarà nessuna interruzione. Non c'è bisogno di fare allarmismi».
Niente allarmismi, ma come pensate di risolvere il problema? Nessuna banca si è detta disponibile per una fideiussione. Ora le strade potrebbero essere due: una garanzia temporanea del Campidoglio oppure un impegno delle Assicurazioni comunali. Sono strade percorribili?
«Ci sono tante ipotesi al vaglio, le valuteremo tutte quante nei prossimi giorni, insieme ai vertici della società».
In concreto a quali soluzioni pensate, quindi?
«Non voglio anticipare la decisione che verrà presa, perché ancora dobbiamo capire quali siano le opzioni migliori».
Ci dica, secondo lei perché le banche non si sono fidate dell'Atac, schiacciata da un debito miliardario e sotto concordato?
«Io non ho opinioni, ma valuto i fatti. Ora dobbiamo lavorare per superare questa fase, sono convinta che ci riusciremo. Mi limito a questo, opinioni e teorie le lascio ad altri, non è il mio compito».
Che impatto può avere questa situazione di incertezza sul concordato?
«Sono due strade diverse e distinte, che non si incrociano. Un conto è l'interlocuzione con il ministero dei Trasporti, un altro quella con il Tribunale. Il concordato è lo strumento che abbiamo scelto per rilanciare l'azienda e proseguiamo in questa direzione. Mi faccia dire una cosa: questa amministrazione ha deciso di tenere l'Atac pubblica e in mano al Comune. Vogliamo rilanciare i trasporti e risanare l'azienda. Lo abbiamo detto e e lo stiamo facendo passando per tanti atti».
Poche settimane fa però i giudici fallimentari hanno scritto in venti pagine di decreto che il piano industriale va cambiato in diversi punti, che molte perizie erano sbagliate o superficiali. Quali cambiamenti state apportando? Anche in questo caso, c'è tempo fino al 30 maggio.
«Le posso dire che forniremo risposte adeguate e per tempo a tutte le osservazioni che hanno fatto i giudici».
Rifarete le perizie sbagliate?
«I vertici dell'azienda hanno già avviato tutte le attività necessarie».
Uno dei mali storici dell'Atac è l'assenteismo record, quasi il 13%. Perché gli autisti romani si assentano il doppio rispetto a quelli di Milano?
«Per i furbi saranno presi provvedimenti. L'azienda ha attivato una task force che sta facendo tutti i controlli del caso, sia sulle malattie che sui permessi legati alla 104 e sui congedi parentali. Le verifiche andranno avanti, perché chi ha comportamenti sbagliati causa un danno sia ai cittadini che agli altri lavoratori onesti. E questo noi non possiamo permetterlo».