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Data: 19/04/2018
Testata giornalistica: Mapero'
Di Matteo, è qui la festa

Certi matrimoni del sud, marmi bianchi luci musica porchetta e cotillons, a Donato Di Matteo gli spicciano casa. Ottocento persone alle sei di sera che poi diventano mille e forse più, medici infermieri politici amici sindaci e tanti tantissimi sostenitori di ogni parte d’Abruzzo, accorsi al New Gilda a Brecciarola per i suoi 60 anni sono un record che manco Remo Gaspari ai tempi d’oro.

E per uno che non fa più neppure l’assessore, sono da botta d’invidia anche per uno stalker telefonico come Luciano D’Alfonso (che quando organizza un convegno chiama almeno tre volte ogni invitato, insomma ogni gratificato da lui con incarichi nomine e prebende).

Sessant’anni, festeggiati alla grande. Ieri sera al New Gilda, tavoli bianchi, sedie vestite, palco centrale con poltrone sulle quali si accomoda sornione, intervistato da Alessandra Portinari, un po’ per togliersi tutti i sassolini dalle scarpe e un po’ anche per raccontarsi. Papillons dorato di plastica al collo, una botta d’ironia.

C’è di tutto nella sala addobbata a festa: c’è il vice presidente della Regione Giovanni Lolli (che dice sicuro:

“Donato deve tornare in maggioranza e deve fare l’assessore, i tre tavoli sono al lavoro e accoglieremo le sue richieste”),

i dirigenti regionali Giancarlo Zappacosta, Tommaso Di Rino ed Eliana Marcantonio, l’ex direttore generale Cristina Gerardis, il consigliere Lorenzo Berardinetti, l’ex consigliere regionale Nicola Pisegna, gli avvocati Sergio Della Rocca e Ugo Di Silvestre, e poi l’ex parlamentare Toni Castricone, Roberto Marzetti, Bruno Biagi, Sabrina Di Pietro, Antonello Ricci, Tonino Innaurato che dovrebbe entrare in Consiglio al posto di Camillo D’Alessandro, Francesco Ciafardini, il sindaco di Città S.Angelo Gabriele Florindi, Toto’ Saia, l’ex parlamentare Vittoria D’Incecco col cardiologo Civitarese l’assessore pescarese Giuliano Diodati, la capo sala del reparto di Ematologia Gabriella D’Agostino, una vera potenza nella sanità, col marito Camillo Sborgia, la sindacalista dell’ospedale di Pescara Nikla Di Nisio, i medici Francesco D’Atri, Antonio Ciofani, Massimo Basti, Gianni Iannetti, Valerio Di Francesco, moltissimi dipendenti dell’Aca, poi Donato Renzetti, Gianni Teodoro, Rudy D’Amico, l’ex presidente del consiglio regionale Marino Roselli e da Montesilvano Walter Cozzi, Antonio Di Berardino, Iacovelli, e poi Florio Corneli, Antonio Di Marcoberardino, Leila Kechoud e tantissimi altri.

La festa comincia con la proiezione di un film che passa in rassegna tutta la vita di Di Matteo, da spermatozoo (letteralmente) ai giorni nostri, e poi l’intervista. Valori, affetti, amicizia, rapporti umani, quelli che gli sono mancati in questi quattro anni e finalmente l’attualità: non lo nomina mai ma il ritratto che ne fa e’ lucido e impietoso, Dalfy ne esce con le ossa rotte, un uomo arido, ambizioso, assolutista, e sotto il palco, chiamati a raccolta da lui, “avvicinatevi, mettetevi vicini a me, così ascoltate meglio”, Lolli e i dirigenti, la Gerardis, tutti impassibili ma perfettamente consapevoli.

Parla della libertà, per prima cosa: quella dei giornalisti con la schiena dritta, quelli che non subiscono ricatti, quelli che non piegano la testa.

“Questi sono stati quattro anni traumatici. Qui ho trovato Il mercenariato regionale, nessuna coesione né strategie o programmi condivisi. Solo e soltanto improvvisazione”.

E poi ancora più nettamente, il riferimento al presidente-senatore: è come un cigno, che quando si specchia dice a se stesso “sono il più bello” . No, non è il più bello o almeno lascia che te lo dicano gli altri”. E invece non glielo dice nessuno, anzi. Basta guardare i risultati del 4 marzo:

“Io avevo previsto una grande catastrofe elettorale, ora urge un’analisi della sconfitta (applauso). Non si può continuare come se nulla fosse. Lo dico al mio amico Lolli, che è un moderato, aperto, che capisce il valore della collegialità, lui con me si deve battere per questa svolta. Se svolta non ci sarà, io no, la faccio non ce la metto”.

E invece, assicura Lolli dietro le quinte, ci sarà, eccome se ci sarà.

“La Regione ha fallito – continua Di Matteo – E ha fallito per colpa dell’uomo facciotuttoio. Tutto, tutte le nomine, anche quelle per i bagni pubblici, e se ha fatto tutto lui, il fallimento e’ suo è solo suo”.

Racconta la sua vicenda personale dentro la giunta D’Alfonso:

“Noi (lui e Gerosolimo) abbiamo rimesso le deleghe due mesi fa, ma siamo stati snobbati. Lui parla di “emissioni” e di “immissioni” ma non si capisce cosa voglia dire, a meno che non si riferisca ai gas tossici”, scherza.

“Lui deve decidere anche se te ne puoi andare. Io sono stato per ben due volte il più votato, e mai mi hanno voluto far fare l’assessore alla sanità perché sono il nemico delle cliniche private: che detto dal centrosinistra è un’aberrazione”.

Si è dimesso, Di Matteo, perché Dalfy considera la Regione come casa sua.

“Ma lui può fare il capo a casa sua, la Regione non è di sua proprietà”.

Poi, i rapporti umani:

“Sono stato molto male di salute, per sei o sette mesi e mai ho ricevuto una telefonata da qualcuno della giunta. Anzi, un assessore ha detto a un mio amico: “Donato sta per morire, passa con noi”.

E ora via alla festa: una montagna di regali, musica dal vivo, canzoni abruzzesi, chi canta, chi balla, Di Matteo che legge la poesia di Ugo Iezzi “Lo scinciatore”, si sente un po’ così, scinciatore, la torta con i fuochi d’artificio, l’abbraccio con la mamma di 86 anni, e lui che vorrebbe ballare ma resiste: i medici non vogliono, neppure la moglie. Non deve stancarsi. Per fare la guerra a D’Alfonso la strada è ancora lunga.

ps 1: anche se Lolli dice che tra una decina di giorni sarà tutto pronto per il nuovo rimpasto.

ps2: sembra che D’Alfonso, appena saputo della cena di Di Matteo, si sia messo a organizzarne una pure lui. “Ma qui – commentano gli invitati – c’è molta più gente di quanta ce n’era al PalaElettra, per la convention dalfonsiana”. Una bella sfida.

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