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Data: 23/04/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Di Maio, offerta a Salvini Lui riabbraccia Berlusconi

ROMA «Deciditi, deciditi, deciditi». E ancora: «Il governo lo vuoi fare oppure no. Lo devi dire, Matteo, perché anche Mattarella sta perdendo la pazienza e perché, se non devidi, con l'esplorazione di Fico si aprono altri scenari, anche imprevedibili». Di Maio e i 5 stelle, nella domenica che doveva essere risolutiva per il governo con la Lega, tempestano di messaggi Salvini. Sono appelli, sono offerte, sono maniere per tentarlo in tutti i modi. Uno dei colonnelli di Giggino, Toninelli, capogruppo al Senato, accarezza il capo del Carroccio in uno dei suoi punti più sensibili: la Flat Tax. «Se l'aliquota unica non penalizza i giovani, per noi va bene»: questa l'estrema offerta, insieme alle altre, a cominciare dall'assoluta centralità di Giorgetti nell'eventuale esecutivo, come uno dei super-ministri economici. I 5 stelle premono, Salvini sfugge. Loro hanno fretta, lui fa sapere loro e poi in serata dice pubblicamente nel comizio friulano a Monfalcone: «Datemi ancora qualche giorno, preferisco attendere ancora un poco piuttosto che sbagliare e poi chiedere scusa per anni».
PALETTI
Il punto è sempre quello: Di Maio non toglie il suo paletto dal terreno («Il premier lo faccio io») e Salvini, i cui rapporti con Berlusconi sono sempre all'insegna (reciproca) del fidarsi è bene e non fidarsi è meglio e che ha il programma massimo di prosciugare Forza Italia e salvinizzare l'elettorato di centrodestra, non si spinge a mollare Zio Silvio. Anzi. Il segnale di disponibilità e d'inizio di una nuova storia che Di Maio ha atteso tutto il giorno, e che si apprestava ad aspettare anche questa mattina, Salvini non glielo concede. Se non con una vaghezza, che poi è quella più volte adoperata in passato: «Con i 5 stelle penso che si possa lavorare». Ma, evidentemente, non in un rapporto esclusivo ed escludente. «Non si può andare avanti con le pregiudiziali» contro Berlusconi, è la linea di Salvini. «Il problema non è mollare qualcuno, io non sono il re Sole», aggiunge. Infatti non molla affatto Berlusconi, lo riabbraccia.
Lo fa così. «Per natura», dice, «rispetto i patti con i cittadini». E i cittadini di cui parla sono quelli che hanno fatto vincere il centrodestra unito con il 37 per cento dei voti. Non solo. «Io al governo ci voglio andare, ma dobbiamo anche ricordare chi siamo e da dove veniamo». Dalla coalizione con Berlusconi. Ovvero: «Non sono uno che cambia la squadra con cui si è presentato». «Non sono uno che, per fare il ministro, cambia squadra».
Si è riberlusconizzato Salvini? No, ha espresso pubblicamente - ora che era chiamato a prendere una decisione rapida: con Giggino o con Silvio - quella che è la sua strategia. Ovvero lo strappo omeopatico. La medicina amara, per Berlusconi, a lungo rilascio. Lo vuotamento della sua leadership, l'Opa amichevole ma che è sempre ostile. E comunque, i tempi dell'operazione Salvini non può e non vuole farseli dettare da Di Maio. E a parte il voto in Friuli, presentarsi alle elezioni amministrative nelle città a giugno nella parte di chi ha rotto il centrodestra - di cui si prevede la vittoria quasi ovunque, da Nord a Sud - sarebbe per Salvini un brutto biglietto da visita.
I SINGHIOZZI
«Datemi ancora qualche giorno, altri due o tre, e a maggio sarò premier»: è il grido propagandistico di Salvini nel comizio serale. E pensare che Mattarella vuole fatti e subito, e non dichiarazioni da comizio o la continuazione dei balletti tra leader, per dare incarichi. Senza fatti nuovi, tocca a Fico. Ma a Salvini va bene anche questo. Se si dovesse arrivare a un governo M5S-Pd, la via dell'opposizione per la Lega lui la considera non solo percorribile ma anche assai gradita. Quanto a lui, nella rivendicazione del vincolo con il centrodestra, si spinge addirittura a criticare i giudici («Ce ne sono alcuni che pensano soltanto ad andare in tivvù») e insistere sulla riforma della giustizia (miele per le orecchie di Berlusconi che aveva vissuto malissimo il silenzio leghista sulla sentenza su Dell'Utri): «Vado al governo - spiega il leader del Carroccio - soltanto se riesco a mantenere tutte le promesse elettorali. Tra cui la riforma della giustizia. Servono tempi processuali più veloci e tempi più certi nella giustizia amministrativa».
Parole di Matteo. E rimbombano, nella notte della domenica che avrebbe dovuto cambiare tutto, il singhiozzi grillini.

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