ROMA Un incarico atteso e per certi versi temuto, visto che di fatto rappresenta temporalmente l'ultima occasione che hanno i partiti di comporre loro stessi un governo.
L'esplorazione che avvierà oggi il presidente della Camera Roberto Fico per verificare i margini di un'intesa M5S-Pd, è cominciata in salita ancor prima del conferimento del mandato da parte del presidente della Repubblica. Seppur con motivi diversi e con l'obiettivo di tirarla ancora per le lunghe, non volevano un mandato mirato né la Lega, nè il M5S e neppure il Pd. Di Maio non vuole essere oscurato dal collega di partito e tantomeno contempla passi indietro su palazzo Chigi. Continua in cuor suo a sperare che il leader del Carroccio, dopo il voto in Friuli, possa scaricare Berlusconi e teme che dal tentativo di Fico possa nascere se non un governo politico, un embrione di intesa su alcuni punti di programma che potrebbero rappresentare la base sulla quale costruire una maggioranza con tutti, o quasi, dentro.
I NERVI
A Salvini interessa soprattutto l'opa sul centrodestra. Il rapporto stretto con Di Maio e il M5S è servito sinora ad impedire la nascita di un governo stabile che allontanerebbe la data del voto. Salvini ora spera che il risultato del Friuli non sia deludente come quello molisano. Nel Pd i nervi sono tesi. Al confronto con il presidente della Camera non potranno sottrarsi, ma il fuoco di fila scatenato dai renziani Marcucci e Orfini mentre il presidente della Camera non aveva ancora lasciato il Quirinale, provoca la reazione interna dell'ala poltronista - che dal 5 marzo spera in un governo con il M5S - e di quel pezzo di partito che vorrebbe dare una mano a Mattarella ad uscire da una situazione complicata.
Il mandato molto circoscritto e la difficoltà ad immaginare quali possano essere i passi successivi del Quirinale in caso di fallimento del presidente Fico, accentua le fibrillazioni interne ai partiti che non hanno idea su come uscire dalla situazione di stallo ma al tempo stesso temono la nascita di un governo come il ritorno a breve alle urne. E' nota la contrarietà del presidente della Repubblica al voto anticipato. Chiusa, o quasi, la finestra primaverile non rimarrebbe che quella autunnale, con tutti i rischi per la tenuta del Paese che sarebbe costretto all'esercizio provvisorio. Senza contare che un nuovo voto con la stessa legge elettorale, non muterebbe nella sostanza il quadro. Resta però il fatto che un governo a dispetto dei partiti, o senza di loro, è impossibile immaginarlo anche al Quirinale.
Una valanga di sospetti reciproci che quasi due mesi di trattative non hanno scalfito mentre il risultato elettorale del Molise - oltre ad aver punito pesantemente il Pd - ha duramente deluso anche coloro (Salvini e Di Maio) che hanno voluto dare un significato politico al voto di centomila elettori. Il leader della Lega non sorpassa FI. Di Maio perde la sfida con Berlusconi e il Cavaliere si prende la rivincita anche se sarà costretto ad acquistare casa a Campobasso. Nel frullato di ambiguità e propaganda, che non può non irritare il Quirinale, qualche elemento di riflessione comincia a spuntare nei partiti. Le incognite su un ritorno a breve al voto cominciano ad essere superiori ai timori di dover comporre una maggioranza con un alleato considerato sino a poche settimane inadatto o politicamente lontano. Come conferma persino il risultato del piccolo Molise, le elezioni a breve rischiano di essere una sorta di terno al lotto. Un'incognita, se non un lusso che, oltre allo sconquassato Pd, non può permettersi Di Maio e, visto il voto in Molise, rappresentano un rischio anche per Salvini.
LA SPACCA
L'incarico a Fico ufficialmente chiude la trattativa tira e molla M5S-Lega. Di Maio avalla ciò, per non apparire in collisione con il tentativo del presidente della Camera e sostenere l'iniziativa del Colle. Salvini mostra invece nervosismo. M5S e Lega hanno due strade ormai divise e se non porterà da nessuna parte quella del M5S con il Pd c'è il rischio che si torni a percorrere quella del centrodestra. Magari come chiede da tempo la leader di FdI Giorgia Meloni. Ovvero la formazione di un governo di centrodestra - magari affidato a Giancarlo Giorgetti - che va in aula a cercarsi i voti che gli mancano.