ROMA Un mese e mezzo di trattative e bluff tra M5S e Lega non sono bastati al Pd per comprendere che prima o poi sarebbe toccato a loro. La scoperta i dem l'hanno fatta ieri pomeriggio quando Luigi Di Maio, al termine del colloquio con il presidente incaricato Roberto Fico, si è presentato nella sala della Lupa di Montecitorio per dichiarare urbi ed orbi che la storia d'amore con Salvini è definitivamente finita.
Senza più lo scudo del tocca a loro, e con Di Maio che copia Salvini nel bocciare il governo di tutti o del presidente, l'embrione di trattativa in corso tra M5S e Pd rischia di rappresentare l'ultima chance per evitare una nuova chiamata alle urne subito dopo l'estate. Forse già a settembre.
LA LUNA
Come accade dal 4 marzo il Quirinale osserva le mosse dei partiti e, per quanto di competenza del presidente della Repubblica, se ne fa interprete. La richiesta di concedere più tempo al Pd, che domani il presidente Fico potrebbe avanzare a Mattarella in modo da far slittare di qualche giorno l'esplorazione, dovrebbe quindi non trovare ostacoli. Ovviamente a patto che lo slittamento - dovuto alla necessità che ha il Pd di convocare la direzione - non sia eccessivo, dovuto a ponti e festività, e comunque poco consono alla gravità del momento. Ovviamente al Quirinale non si esprimono giudizi di soddisfazione o meno per le aperture del segretario del Pd Maurizio Martina al confronto con Di Maio. Tantomeno per la disponibilità mostrata dal leader grillino di fornire ai trattativisti del Pd l'argomento che ha costretto ieri a Martina ad aprire uno spiraglio.
Presi di contropiede dalla nota intenzione di Di Maio di cercare in tutti i modi di comporre un governo che gli permetta di andare a palazzo Chigi, il Pd Rtrova un precario equilibrio interno prima di arrivare all'appuntamento con l'esploratore Fico. Quando termina il colloquio con il presidente della Camera, Martina illustra la disponibilità condizionata dei dem con a fianco il presidente del partito Orfini e capigruppo Marcucci e Delrio. Tutti d'accordo, o quasi, visto poco dopo sui social si scatenano parlamentari ed iscritti.
L'argomento più gettonato per spingere il Pd ad aprire con i 5S un dialogo vero e senza veti preventivi, è quello del rischio del voto anticipato. Gli argomenti in effetti non mancano. I petali della margherita sono stati quasi tutti sfogliati. Non rimane che il petalo del governo del presidente, ma le dichiarazioni dei leader, compreso Berlusconi, più favorevoli al voto anticipato che al governo di tutti, rischiano di trasformare il confronto a distanza tra M5S e Pd come l'unica carta per salvare una legislatura che di fatto non è mai partita. Di Maio asseconda lo scenario del voto anticipato per tenere buona quell'ala del Movimento che non gradisce il dialogo con un Pd ancora a forte trazione renziana.
IL TAVOLO
Non esistendo un piano alternativo, se non un governo affidato magari al presidente della Corte Costituzionale e in grado di portare al più presto il Paese alle urne, la tensione nel Pd e nel M5S è destinata a crescere a dismisura. «Calma e sangue freddo», scriveva ieri sera il grillino Stefano Buffagni. Il parlamentare, molto vicino a Di Maio, sembra replicare su Facebook ai borbottii che si agitano sui social. La gestione della trattativa, di fatto affidato all'ortodosso Roberto Fico, non sembra bastare e la promessa di far valutare dalla piattaforma Rousseau l'eventuale intesa, non viene ritenuta sufficiente ad autorizzare il tavolo con il nemico. Paradossalmente, malgrado si sia cercato sinora di sottolineare le affinità tra M5S e Pd, Di Maio sembra incontrare più difficoltà a stringere un'intesa con il Pd che con la Lega sovranista.
Dopo settimane di trattative il centrodestra è ora alla finestra, ma le divisioni restano. La capogruppo di FI alla Camera, Mariastella Gelmini, chiede che venga dato un incarico a Salvini prima di tentare la complicatissima strada del governo di tutti, ma più si avvicina la prospettiva del voto e più sarà difficile convincere il leader leghista.