Maurizio Stirpe, lei è vice presidente di Confindustria con deleghe per il settore del lavoro e le relazioni industriali, come valuta dal suo osservatorio la stretta sugli scioperi nei trasporti messa a punto dal Garante e anticipata ieri dal Messaggero? Le ricordo che la stretta prevede che il periodo di tregua tra due proteste passi da 10 a 20 giorni.
«Mi sembra che si vada nella direzione giusta. La proposta del Garante va valutata positivamente poichè riequilibra il legittimo diritto dei lavoratori a scioperare con quello altrettanto legittimo degli utenti dei servizi pubblici locali a usufruire dei servizi medesimi. Utenti che, come spesso accade a Roma e nelle grandi città, subiscono gravissimi disagi proprio a causa delle agitazioni sindacali».
I sindacati hanno immediatamente criticato però la mossa del Garante che, in una situazione di vuoto politico, ha agito in maniera autonoma anche in considerazione del fatto che a Roma ogni 15 giorni si bloccano bus e metro, soprattutto a causa delle agitazioni dichiarate dalle piccole sigle.
«Credo che la scelta del Garante possa rappresentare una modalità da seguire perché tutela gli utenti senza intaccare, come dicevo prima, i diritti. Sopratutto frena le agitazioni delle piccole sigle che spesso, a cadenze regolare e nei fine settimana, riescono a bloccare i servizi e a paralizzare le città. Credo, ma in questo modo il discorso si allarga ben oltre il regolamento del Garante, che serva discutere a fondo di rappresentatività, di chi può legittimamente dichiarare o no uno sciopero».
Tra l'altro gli scioperi a ripetizione, penso all'Atac in particolare, creano grave pregiudizio anche ai conti aziendali mettendo a volte in discussione la funzionalità dei servizi e dunque la loro fruizione.
«Non voglio entrare nei particolari, ma proprio le aziende più colpite dalle agitazioni sono quelle che di norma hanno più problemi e si distinguono purtroppo per tassi di assenteismo particolarmente elevati. Lo stop alle proteste programmate sempre nei fine settimana, magari con scopi spesso poco comprensibili e con l'obiettivo di procurare i danni maggiori, mi sembra difficilmente criticabile».
Eppure, al di là del dibattito politico che non ha dato risultati apprezzabili, solo l'intervento dell'Autorità consentirà di dimezzare gli scioperi. Insomma, possiamo dire che dopo 16 anni finalmente si volta pagina. Non crede che questa modalità possa estendersi anche ad altri settori?
«Credo di sì. Io penso che quanto più c'è necessità di riequilibrare i diritti tra lavoratori e utenti, tanto più è necessario ricorrere a questa tipologia di soluzione. Nel Tpl l'esigenza di regolazione era fortissima, ma ritengo che potenzialmente tale restrizione possa essere estesa ad altri comparti. Per evitare che a pagare il prezzo più alto siano proprio cittadini, studenti e lavoratori che hanno la necessità e il diritto di essere tutelati. Senza ovviamente ledere il diritto costituzionalmente garantito a scioperare. Serve, lo sottolineo con forza, un giusto equilibrio».
Il Parlamento uscente non è riuscito ad affrontare la questione in maniera organica, anche perché toccare il diritto di sciopero non è politicamente agevole. Crede che nella prossima legislatura il tema possa essere affrontato senza vincoli ideologici?
«Penso che per affrontare questo tema prima bisogna discutere in maniera approfondita di rappresentanza, sia delle organizzazioni sindacali che delle datoriali. E che bisogna farlo al tavolo tra le parti sociali».
Meglio che siano le parti sociali a risolvere la questione?
«Un passaggio politico credo sia necessario, ma sta alle parti sociali sciogliere il nodo ai fini della rappresentatività anche sul fronte dei contratto. E questo per evitare il dumping contrattuale. Guardi che su 900 contratti, il 60% prevede condizioni ben peggiori dei contratti nazionali collettivi stipulati da Confindustria e dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. Serve, insomma, senso di responsabilità e una misura corretta della rappresentanza, di chi davvero rappresenta i lavoratori al tavolo negoziale».
Senso di responsabilità che però i confederali hanno dimostrato di possedere...
«Concordo, basta guardare la frequenza delle agitazioni programmate dalle grandi organizzazioni sindacali nel settore Tpl per capire quanto sono diverse dalle piccole sigle».
(*) Vice Presidente Confindustria
Ma i sindacati non ci stanno: «Pronti a scendere in piazza»
ROMA Infuriati. E pronti anche a scendere in piazza per difendere quello che considerano un attacco al diritto di sciopero. Il giro di vite del Garante che, emanando nuove regole sul trasporto pubblico locale nazionale, ha raddoppiato l'intervallo tra una protesta e l'altra portandola da dieci a venti giorni è andata di traverso ai sindacati. Secondo la Cgil la mossa del capo dell'Autorità, Giuseppe Santoro Passarelli, è sbagliata in quanto sarebbe stato meglio sollecitare il Parlamento sulla legge sulla rappresentanza invece che fare imposizioni. «Invece di apprezzare l'accordo raggiunto tra le parti sociali, cosi come previsto dalla legge 146/90 sulla regolamentazione e dalle procedure di sciopero nel trasporto pubblico locale si è scelta la strada della censura e della imposizione» protestano Vincenzo Colla, segretario confederale Cgil, e Alessandro Rocchi, segretario generale della Filt. Secondo i sindacalisti il Garante avrebbe deliberato in maniera unilaterale l'allungamento dell'intervallo di sciopero, «pensando che un semplice calcolo ragionieristico possa mettere freno ad un complicato argomento di discipline giuridiche e costituzionali».
LA CRITICA
Meglio sarebbe stato, rimarcano con forza i dirigenti sindacali, sollecitare il nuovo Parlamento ad approvare una legge sulla rappresentanza sindacale «attingendo agli accordi interconfederali già siglati, e magari, mediante preventiva sottoscrizione di un avviso comune con le parti sociali, già felicemente sperimentata in altri casi di regolamentazione». Aria pesante anche dalle parti della Cisl. «Siamo dunque di fronte a una deroga della legge e a uno straordinario attacco alle sole organizzazioni sindacali che negli anni hanno dimostrato di essere responsabili: attacco che ci costringerà ad attivare le azioni più idonee per tutelare i lavoratori che rappresentiamo» ammonisce Antonio Piras, Segretario generale della Fit-Cisl. «La cosa che più ci lascia perplessi - continua Piras è che la deliberazione arriva a valle di un accordo dei sindacati con tutte le controparti datoriali, che si è sviluppato in poco più di un mese grazie alla determinazione e all'impegno delle organizzazioni sindacali stesse e rispetto al quale la Commissione di Garanzia, in base alle attribuzioni assegnategli dalla legge, avrebbe dovuto valutare l'idoneità e, in caso di non idoneità, avrebbe dovuto, sempre secondo la legge, rimandare l'accordo alle parti per ridefinirlo nei termini della legge medesima». Secondo Piras la decisione del Garante, «considerato che non agisce sulle cause dei problemi ma sugli effetti, non dimezzerà gli scioperi ma inasprirà il conflitto». La Cisl prevede infatti che il sentimento di disagio che scaturirà fra i lavoratori del settore, «farà nascere nuovi sindacati». Anche i sindacati di base sono sul piede di guerra. Il Cub si prepara a scioperare l'8 giugno prossimo contro la decisione del Garante. Il segretario nazionale, Claudio Santoro, spiega che «la riforma del regolamento è incostituzionale in quanto non opera un bilanciamento equo tra il diritto allo sciopero dei lavoratori, che sarà limitato a soli 10 giorni l'anno, e quello degli utenti». E tra l'altro il leader sindacale fa notare che, «dati del Garante alla mano, gli scioperi nel settore sono in calo».