ROMA La parola chiave doveva essere «pacificazione», una sorta di riedizione dello spirito di Onna, rivisto e aggiornato nove anni dopo. E invece il 25 aprile di Silvio Berlusconi inciampa su una frase che accomuna il Movimento5stelle a Hitler, scatenando una nuova lite pubblica con l'alleato, Matteo Salvini.
Né pare che il Friuli Venezia Giulia, dove si vota domenica e dove il centrodestra è dato in netto vantaggio, riuscirà a restituire, almeno mediaticamente, la foto di una coalizione unita: sembra essere sfumata sul nascere, infatti, la possibilità di un comizio dei tre leader a Pordenone per la chiusura della campagna elettorale. Tutti impegnati sul territorio per la vittoria di Massimiliano Fedriga, ma ognuno per conto suo. Anche se da Forza Italia assicurano che «ci si sta ancora lavorando», la Lega smentisce: macché chiusura unitaria.
LUOGO SIMBOLO
Per la giornata che preferisce chiamare della libertà più che della Liberazione, l'ex premier sceglie come luogo simbolo Malghe di Porzus, teatro di uno degli episodi più controversi della Resistenza, dove diciassette partigiani della Brigata Osoppo furono uccisi per mano di un gruppo di partigiani del partito comunista. Nel discorso scritto, studiato e calibrato con cura, Berlusconi richiama tutti «alla responsabilità», e ne approfitta anche per fare un riferimento alla situazione di stallo post elezioni. «Siamo impegnati a cercare una soluzione alla crisi politica, senza veti né preclusioni».
Ma è quando parla a braccio che gli scappa la frase che provoca non soltanto la reazione dei pentastellati ma soprattutto quella di Salvini. Perché Berlusconi afferma che «siamo di fronte a un grave pericolo» e racconta di aver parlato con alcune persone e di aver chiesto loro «come si sentissero di fronte a questa formazione politica, che non si può certo definire democratica». «Uno mi guarda negli occhi e mi dice credo che ci sentiamo come gli ebrei al primo apparire della figura di Hitler'».
Prima lo staff e poi lo stesso Berlusconi cercano di correre ai ripari, spiegando che non si trattava di un suo pensiero ma semplicemente di un de relato. Troppo tardi, almeno per Matteo Salvini. Che censura - furibondo - l'alleato, invitandolo al silenzio, proprio come Berlusconi aveva fatto dopo i suoi commenti sul raid in Siria. «È meglio tacere, e rispettare il voto degli italiani, invece di dire sciocchezze. Io voglio dare un governo all'Italia, sono stufo di insulti, capricci e litigi».
Una difesa del M5S che, al di lá della legna che Di Maio sembra portare al forno con il Pd, dimostra ancora una volta che Salvini non considera ancora chiusa la possibilità di un dialogo con i pentastellati. D'altra parte, è sulle strategie per uscire dallo stallo post 4 marzo che le divergenze dentro il centrodestra, sovente camuffate nella forma, restano nella sostanza. Il leader della Lega non crede che il matrimonio tra dem e stellati s'abbia da fare e considera ancora in piedi l'opzione di un governo tra la coalizione che è arrivata prima e il partito che è arrivato secondo, mentre Berlusconi e Giorgia Meloni pensano che il centrodestra debba provare a cercare i voti in Parlamento. Mai come in questa fase, poi, il leader di Forza Italia si affida a Sergio Mattarella, anche perché - unico tra i suoi alleati - non considera l'ipotesi di un esecutivo del presidente come una iattura.