L'AQUILA «La partita è chiusa: ho pienamente ragione, io ho il diritto di scegliere tra Regione e Senato», esulta il governatore Luciano D'Alfonso dopo il verdetto della Giunta per le elezioni che ieri, all'Aquila, ha dipanato il rebus del doppio incarico di governatore e neo senatore. L'ha vinta lui per 16 a 12 la sfida politica contro Sara Marcozzi, Lorenzo Sospiri, Mauro Di Dalmazio e Leandro Bracco, astenuti il presidente del Consiglio, Giuseppe Di Pangrazio e Mario Olivieri. L'ha vinta grazie ai consiglieri Sandro Mariani, Maurizio Di Nicola, Lorenzo Berardinetti e Lucrezio Paolini, con relative deleghe, che hanno votato per la "non sussistenza dell'incompatibilità", al termine della Giunta composta capigruppo consiliari durata sei ore. Estenuante e tesa in cui anche l'avvocato dell'ufficio legale del Consiglio regionale, Francesca Di Muro, è intervenuta per affermare la totale indipendenza del procedimento di decadenza previsto dal Regolamento del Consiglio regionale rispetto a quello sancito nel Regolamento del Senato, che impone prima la convalida da parte della propria giunta. Ma è stato come fare un buco nell'acqua perché la politica ha deciso in modo opposto accendendo la miccia della rabbia dei 5 Stelle, che avevano presentato la segnalazione, e dei forzisti che annunciano fuoco e fiamme per il 3 maggio, giorno del consiglio regionale, dove la Giunta, con un secondo voto, ha deciso di spostare la discussione.«È clamorosa la decisione che la maggioranza del Governo regionale ha imposto nella Giunta per le elezioni che avrebbe dovuto invece prendere atto dell'incompatibilità, sancita dall'articolo 122 della Costituzione e dal Regolamento del Consiglio Regionale. Un atteggiamento di prepotenza istituzionale in spregio della democrazia», è il commento dei consiglieri regionali pentastellati Marcozzi, Pietro Smargiassi, Domenico Pettinari, Gianluca Ranieri e Riccardo Mercante. «Un atto di equilibrismo istituzionale che vede conniventi tutti i capigruppo di maggioranza. Tutto ciò in totale spregio del parere degli uffici legislativi del Consiglio regionale», aggiunge Marcozzi, «Siamo davanti alla scena più triste nella storia democratica d'Abruzzo: un'intera regione tenuta in ostaggio dalla carriera politica di un uomo appoggiato da una maggioranza di figure deboli».«La decisione della Giunta non cambia di una virgola la nostra posizione: D'Alfonso deve rispettare la legge e deve optare per una delle due cariche oggi ricoperte, quindi restare in Regione oppure levare le tende per accamparsi al Senato. Su questo obbligo normativo saremo irremovibili e porteremo la battaglia in Consiglio regionale», così tuona Sospiri. «Soprassediamo sul ridicolo paragone del governatore con le figure di Mazzini e Garibaldi (vedi la lettera di D'Alfonso alla giunta pubblicata ieri dal Centro, ndr) e andiamo nel merito della vicenda: non è il senatore D'Alfonso che può scegliere di restare in carica come presidente della Regione», chiude il forzista. Ma D'Alfonso risponde così: «Al prossimo consiglio regionale convincerò gli incolti. È pacifico, per giurisprudenza minima e per dottrina gigantesca, che l'elezione del senatore ha bisogno dell'inveramento con la verifica della giunta delle elezioni del Senato. Non lo dico io ma l'ordinario di diritto parlamentare Nicola Lupo che insegna a tutti i funzionari dello Stato italiano».