ABRUZZO. D’Alfonso da «futuro ministro della Repubblica» a nullafacente della politica? Da due poltrone per un sedere solo, a nessuna?
E’ questa la vera paura del senatore-presidente: una realtà che emerge chiaramente dalle 8 pagine, non proprio sintetiche, dove ci sono i motivi che -secondo lui- andrebbero presi in considerazione dalla giunta per le elezioni per non dichiarare la sua incompatibilità.
E, guarda caso, proprio ieri quegli stessi motivi sono stati considerati validi, in toto, dalla giunta che ha passato la palla al Consiglio regionale, senza prendere alcuna decisione.
La giunta per le elezioni non è altro che la conferenza dei capigruppo regionali (un esponente per ogni gruppo consiliare) e, dunque, si può contare sulla maggioranza di centrosinistra.
Il partito dominante, il Pd, è dominato da una ristrettissima oligarchia tanto che persino alcuni esponenti del Partito Democratico accusano la mancanza di collegialità ed in questo contesto i fatti dimostrano che non c’è Costituzione che tenga e va in onda «il mondo alla rovescia che smentisce le evidenze», come contestano i 5 stelle citando l’articolo 122 della Costituzione.
Nessuna incompatibilità (per il momento) nemmeno se il senatore presidente ha già di fatto votato in Senato ma non c’è stata ancora nessuna proclamazione. Perchè fino a quando il Senato non proclamerà ufficialmente che nulla osta di fatto non si è perfezionata nessuna carica.
COME MAZZINI E GARIBALDI
Perchè?
Perchè in Italia vale un pò il sospetto che tutte le elezioni siano invalide -scrive D’Alfonso- citando il “padre della patria” Costantino Mortati che evidentemente conosceva bene politica e politicanti e di cosa potessero essere capaci. Dunque sulla certezza del diritto non ci siamo ancora, ma la certezza di una eventuale invalidità, invece, c’è tutta e se lo dice il noto giurista che sembra offrire una solida pezza d’appoggio al nostro presidente senatore qualche riflessione bisognerebbe pur farla.
Del resto persino Mazzini e Garibaldi una volta eletti non furono confermati (Mazzini addirittura due volte) e dovettero ritornare a casa con le pive nel sacco. Dunque, meglio andarci cauti ed essere un tantino più scaltri di quei due.
Poi «senza scomodare due padri della Patria» (come dice proprio D’Alfonso) basta tornare ai giorni nostri e a questa fase di transizione che dura da quasi due mesi.
Si è alla ricerca disperata di un Governo che non arriva, D’Alfonso sa che il rischio di tornare tutti a casa non è così remoto e si potrebbe verificare pure «l’assurda conseguenza di essere escluso da entrambi i mandati», per dirla con le sue parole.
Da qui la richiesta di esercitare «il diritto di opzione tra le due cariche una volta completati tutti i passaggi istituzionali e dopo che sia stata procedimentalizzata ed istruita compiutamente la convalida da parte della Camera competente».
LA SALVAGUARDIA DEL PROGRAMMA POLITICO
Questo, sottolinea D’Alfonso, anche per salvaguardare il programma politico «democraticamente votato dagli elettori fino al sopraggiungere della causa certa di interruzione che ne anticipa la scadenza naturale».
Anche perchè, il governatore - senatore lo spiega bene: proprio non digerirebbe le dimissioni a causa di «pretese avanzate da un dibattito assembleare viziato ed interessato da ragioni di parte».
Una richiesta che «comporterebbe, prima ancora che si abbia la certezza della nomina a senatore, lo scioglimento della giunta e del Consiglio e il ricorso a nuove elezioni senza che sussista una frattura con la maggioranza consiliare nell’attuazione dell’indirizzo politico».
IL POTERE DEL CONSIGLIO REGIONALE
E poi D’Alfonso l’accentratore, l’uomo solo al comando, che fa e disfa da solo, nomina e si inserisce in procedure direttoriali (violando anche il principio della separazione tra indirizzo politico ed attività gestionale), che da solo porta avanti la baracca e propone oltre la metà delle delibere, fa notare che il suo ruolo non è così centrale come può sembrare.
E così il governatore spiega che «se è vero che dal 1999 si assiste ad un’accentuazione del ruolo del presidente della giunta, questo non avviene nel modello abruzzese.
D’Alfonso fa riferimento allo «statuto della Regione Abruzzo- unico nel panorama comparato delle regioni ad autonomie ordinarie - che valorizza in maniera particolare il ruolo politico del Consiglio regionale».
Insomma tutto ciò dovrebbe indurre ad una maggiore cautela del presidente della giunta regionale nel determinare lo scioglimento dell'organo assembleare «data l'evidenza di una maggioranza in grado di funzionare».
DUNQUE SI VA AVANTI
Tutto questo argomentare (che testimonia un enorme lavoro del personale ufficio legale dalfonsiano), persino formalmente regolare ma magari non opportuno nè improntato all’interesse pubblico, porta delle enormi conseguenze per tutti, niente affatto trascurabili.
Per esempio un presidente che continua a decidere e firmare atti anche a rischio di annullabilità, che impone nomine discrezionali in posizioni chiave che potrebbero causare intralci alla futura amministrazione.
Così facendo garantisce poltrone ed incarichi a tutta l’amministrazione (compresi i consiglieri regionali che hanno votato contro l’incompatibilità così strappando qualche altro megastipendio).
Il tutto mentre il voto del 4 marzo ha decretato il fallimento totale dell’attuale governo e amministrazione regionale, dettaglio trascurato ma non trascurabile.
In un Paese più normale e rilassato con un occhio obbligato all’interesse pubblico si sarebbe evitato tutto questo, persino fin dalla candidatura per ragioni di opportunità.
In un paese normale con politici normali una volta decisa la candidatura magari ci si sarebbe dimessi il giorno stesso o al massimo al momento della avvenuta elezione (vista anche la chiara volontà dell’eletto di lasciare per il semplice fatto di essersi candidato).
Certo bisogna assumersi dei rischi, persino anche quello di rimanere senza poltrona ma se se ne può fare a meno...
L'EQUILIBRISMO ISTITUZIONALE
Rischio ad oggi scongiurato -tirando per la giacca la Costituzione- ma che si riproporrà per il futuro, alle prossime elezioni quando gli elettori terranno conto anche di tutto questo.
Intanto dal Movimento 5 Stelle, che aspetta come tutti di sapere se potrà nascere un Governo trasversale con il Partito Democratico, non arrivano messaggi di pace.
I consiglieri regionali attaccano la decisione di ieri della giunta per le elezioni parlando di «un atteggiamento di prepotenza istituzionale paradossale e in spregio della democrazia», «un atto di equilibrismo istituzionale che vede conniventi tutti i capigruppo di maggioranza» e di «un’intera regione tenuta in ostaggio dalla carriera politica di un uomo appoggiato da una maggioranza di figure deboli che non sono state capaci di difendere i cittadini dall’arroganza istituzionale del Presidente-Senatore Luciano D’Alfonso».
Ora la discussione si sposterà nel primo Consiglio Regionale utile dove una mera presa d’atto, quello che avrebbe dovuto essere un semplice adempimento burocratico di constatazione delle due cariche, sarà rimessa ancora una volta alla volontà della maggioranza.