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Data: 28/04/2018
Testata giornalistica: Il Centro
D'Alfonso, per la procura la corruzione non c'è. Non è reato la telefonata del governatore per il fondaco in vendita a Penne. E anche Salvini vuole le sue dimissioni. Dal leader della Lega a Rotondi e Pagano: tutti in campo contro il doppio incarico del senatore

L'AQUILA La telefonata di Luciano D'Alfonso ci fu davvero. Ma non è un reato. A più di un anno dal clamore mediatico e politico per i sequestri di atti e l'inchiesta per corruzione che ha coinvolto il governatore, la procura dell'Aquila chiede al gip l'archiviazione. D'Alfonso non fece quella telefonata a Roberto Orsatti, architetto della Soprintendenza ai beni culturali, con lo scopo di imporre il parere positivo che sarebbe servito al Comune di Penne per vendere un vecchio fondaco. Ma si limitò a chiedere di velocizzare la riunione della commissione che doveva esaminare la pratica ferma da mesi sotto un faldone di altre richieste. Né il governatore ottenne qualcosa in cambio dall'allora sindaco di Penne, il suo omonimo Rocco D'Alfonso. Qualcosa che, per esempio, poteva essere consenso elettorale o altro. Da quella telefonata però è scaturita un'inchiesta per corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, istigazione alla corruzione e abuso d'ufficio, contestati al presidente della Regione in concorso con altri, nel filone d'indagine legato alla cessione dell'immobile di proprietà del Comune di Penne inserito, a sua volta, nell'inchiesta più grande della procura della Repubblica dell'Aquila su appalti regionali. D'Alfonso, indagato con l'ex sindaco di Penne, impiegato a Pescara nello staff del presidente, ieri mattina ha comunicato a margine di una conferenza stampa su altri temi la notizia sulla decisione della procura di chiedere l'archiviazione. La verifica, fatta poco dopo all'Aquila, ha confermato la sua indiscrezione. La vicenda giudiziaria passa ora nelle mani del gip che dovrà decidere se archiviare o no. Come andarono i fatti e quali benefici ha arrecato all'amministrazione pennese la telefonata del governatore all'architetto Orsatti, è presto detto. Fu per premura che D'Alfonso chiamò la Soprintendenza. Lo fece, si diceva poc'anzi, per velocizzare un iter burocratico la cui lentezza poteva causare danni al Comune di Penne che, per necessità di cassa, aveva dovuto mettere in vendita nel 2015 quell'immobile. Se non lo avesse alienato entro la fine dell'anno avrebbe sforato il patto di stabilità interno con tutti gli effetti negativi che questo comporta. Per portare a termine l'operazione occorreva, però, superare il vincolo dei Beni culturali. L'allora primo cittadino aveva chiesto alla Soprintendenza che il vincolo decadesse e aveva poi atteso il parere della relativa commissione per completare la vendita. La commissione, tuttavia, tardava a riunirsi e Rocco D'Alfonso, vista l'urgenza di chiudere il bilancio, aveva chiesto l'intervento del presidente della Regione. D'Alfonso, quindi, telefona al funzionario dei Beni culturali per sollecitare il parere della commissione e non per imporre la decisione da prendere. Sarebbe questa la differenza sostanziale che ha determinato la richiesta d'archiviazione. Un anno fa, invece, quella telefonata venne letta dall'inquirente come una «pressione indebita» sul funzionario. Ad indagare, allora, era il sostituto procuratore Antonietta Picardi, diventata poi sostituto procuratore generale a Roma. L'inchiesta sul governatore è quindi passata al pm Fabio Picuti. Nel frattempo il fondaco è stato svincolato e il Comune di Penne è riuscito a evitare la procedura di infrazione.

E anche Salvini vuole le sue dimissioni. Dal leader della Lega a Rotondi e Pagano: tutti in campo contro il doppio incarico del senatore

PESCARA «Vergognoso attaccamento alle poltrone del Pd sulla pelle degli abruzzesi. Si torni al voto per la Regione, i cittadini hanno diritto di scegliere e di cambiare, la Lega è pronta». Sono le parole del segretario della Lega Matteo Salvini sceso in campo contro il governatore-senatore, Luciano D'Alfonso, che mantiene la doppia carica e non si scompone: «So che ieri (giovedì) c'è stato uno snodo della procedura riguardante l'accertamento delle cause di incompatibilità», dichiara il governatore in conferenza stampa, «io ancora ho il diritto di opzione tra l'impegno regionalista e l'impegno parlamentare. Ho scritto in una lettera che determinerò la scelta non appena sarà procedimentalizzata dal Senato la verifica della compatibilità. È sicuro che sto raccogliendo i migliori elementi per la scelta. Il 3 maggio», conclude, «farò in Consiglio regionale un intervento dove lascerò in pace la storia e proverò a parlare soltanto di diritto». E suo fianco si schiera Sandro Mariani, capogruppo del Pd alla Regione, che risponde al leader della Lega: «Ricordo a Salvini che come sanatore dovrebbe conoscere le procedure. Alla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari è affidato il compito di verificare, secondo le norme stabilite dal Regolamento per la verifica dei poteri, i titoli di ammissione dei senatori e le cause sopraggiunte di ineleggibilità e incompatibilità». Ma la Lega Abruzzo torna ad incalzare D'Alfonso: «Censuriamo questa arrogante ed arbitraria decisione, che risulta funzionale a D'Alfonso per guadagnare tempo allo scopo di ultimare la serie di nomine e di incarichi. La Lega propone «ai consiglieri regionali di centrodestra e a coloro che mal tollerano questa situazione di illegalità di dimettersi a catena per accelerare i tempi del ritorno alle urne». C'è poi l'intervento del politico di lungo corso, Gianfranco Rotondi: «D'Alfonso sbaglia ricorrendo ad artifizi: allunga il suo governo, ma porta acqua al mulino dell'antipolitica», così sostiene il vicepresidente del gruppo di Forza Italia alla Camera eletto in Abruzzo. «Il voto della Giunta regionale per le lezioni a favore della non sussistenza dell'incompatibilità del doppio incarico e la conseguente agonia della Regione, non porteranno a niente di buono», afferma Rotondi, «né all'Abruzzo, né paradossalmente a lui. Se D'Alfonso vuole rimanere presidente e senatore, certamente non mancano agli avvocati le abilità di centrare quest'obiettivo, ma glielo sconsiglio fortemente perché lascerebbe l'Abruzzo in una situazione di antipolitica. La sua decisione», conclude Rotondi, «produrrebbe danni sistemici. Allungando di un anno l'agonia, D' Alfonso scomparirà». La parola infine passa al senatore Nazario Pagano: «Il diritto di scelta non può comportare il diritto di tenere in ostaggio un'intera Regione. D'Alfonso deve smetterla di aggrapparsi ai codicilli e fare giochi di prestigio sulla pelle degli abruzzesi», dice il coordinatore regionale di Fi. «O si dimette da governatore per fare il senatore, oppure rimane a fare il governatore e si dimette da senatore». La parola finale spetterà al Consiglio regionale del 3 maggio. «Forza Italia darà battaglia in Consiglio affinché questo scandalo cessi», annuncia Pagano, «l'Abruzzo non ha bisogno di un D'Alfonso che fa l'Amleto». (l.a.)

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