ROMA Sul Colle, giorno dopo giorno, osservano con sconcerto l'annaspare della trattativa tra il Pd e i 5Stelle. Nessuno intende gettare la spugna: l'ipotesi è da tenere in vita finché non verrà definitivamente archiviata dai protagonisti. Ma più tempo passa e prosegue a due mesi dalle elezioni lo stallo che impedisce al Paese di avere un governo nelle pienezza delle sue funzioni, più le elezioni si fanno vicine. Non a giugno, semmai in autunno. Preferibilmente nella primavera del prossimo anno. Ma anche questa scadenza, vista l'aria che tira, si annuncia molto ottimistica.
La parola, dopo la conclusione «positiva» dell'esplorazione del presidente della Camera Roberto Fico, è ancora ai partiti. Sergio Mattarella aspetta gli sviluppi di un confronto che per la posizione nettamente contraria di Matteo Renzi a stringere un'intesa con i grillini («è un teatrino, una presa in giro») e per lo strabismo di Luigi Di Maio verso la Lega (anche se smentito), difficilmente approderà a qualcosa. E attende, il Presidente, anche di capire se domani - dopo il voto in Friuli - qualcosa cambierà tra 5Stelle e Matteo Salvini. Pure qui, però, le chance sono ridotte al lumicino. Perché Salvini non intende rompere con Silvio Berlusconi. Perché Di Maio non ha alcuna intenzione di imbarcare il Cavaliere. Ma chissà, un espediente per stringere un accordo potrebbe essere trovato considerato che le basi grilline e leghiste spingono per il matrimonio tra i due partiti. E che un governo 5Stelle-centrodestra rappresenterebbe il Paese da Nord a Sud. Il contrario di un ipotetico esecutivo Pd-grillini che non avrebbe radici nel Settentrione: non a caso il leader lumbard minaccia la mobilitazione in piazza se prendesse quota questo scenario.
NIENTE INCARICHI AL BUIO
Di certo, c'è che il capo dello Stato non affiderà mandati al buio. Tantomeno a ipotetici governi politici di minoranza. Sembra destinata a cadere perciò l'ipotesi prospettata da Berlusconi, caldeggiata da Giorgia Meloni e non scartata del tutto da Salvini, di affidare un preincarico a un esponente del centrodestra che poi si presenti in Parlamento per cercare i voti. Non del Pd (su questo Salvini è categorico), ma di qualche decina di responsabili: una situazione di estrema incertezza e precarietà che non convince il Quirinale.
IL NUOVO GIRO
Così, se tra una decina di giorni naufragheranno per la quarta volta tutte le possibilità di un'intesa politica, Mattarella compirà un altro giro di consultazioni. Farà ai partiti un discorsetto che suonerà più o meno così: ho la penna in pugno per sciogliere il Parlamento, ditemi cosa volete fare, quale responsabilità potete mettere in campo per il Paese? Un governo istituzionale che abbia un po' di respiro? Oppure un governo di transizione o di responsabilità che porti il Paese alle elezioni in autunno? Al massimo nella prossima primavera? La finestra per le urne a giugno si chiude il 9 maggio e appare impensabile il voto a luglio.
Sul Colle, viste le dichiarazioni Salvini e Di Maio («senza accordo politico si va alle urne») sanno che la prima opzione, quella del governo istituzionale o del Presidente, è di fatto tramontata. O quasi. Resta invece in piedi la strada minore, quella di un governo ponte o di transizione, di responsabilità o di tregua (le definizioni non mancano) con una data di scadenza ben precisa: settembre, ottobre. Preferibilmente la primavera 2019. E con un premier tecnico, autorevole, terzo. Identikit che porta al presidente della Consulta, Giorgio Lattanzi, o un altro alto giurista. I compiti: fare la riforma elettorale (tornare al voto con il Rosatellum vorrebbe dire riconsegnare il Paese alla paralisi attuale), varare la legge di bilancio con lo stop al previsto aumento dell'Iva, dare battaglia sui dazi doganali, farsi sentire al Consiglio europeo di giugno dove si decideranno le sorti dell'Unione su migranti, bilancio e nuove regole dell'eurozona.
Questo esecutivo, per Mattarella, dovrà ottenere la fiducia del Parlamento. Non ama infatti, il capo dello Stato, la riedizione di formule come il governo della non fiducia o delle astensioni (Andreotti nel 1976) o addirittura senza fiducia (sei i precedenti nella Prima Repubblica) che restarono comunque in piedi per gli affari correnti per qualche mese fino alle elezioni. Il Presidente cerca soluzioni più robuste. Certo, se poi queste non dovessero arrivare, qualsiasi governo (anche uno di tipo... balneare) dovrà traghettare il Paese verso le urne.
NIENTE BIS
E' da scartare anche l'ipotesi che questo esecutivo di tregua possa essere guidato da Paolo Gentiloni. Perché l'attuale premier ha ottenuto la fiducia da un Parlamento che non esiste più e per proseguire il proprio lavoro - arrivando al bis - dovrebbe incassare almeno un sì dalle nuove Camere: scenario inesistente, vista la contrarietà dei semi vincitori e la voglia di Gentiloni di lasciare palazzo Chigi.