ROMA Vent'anni fa, nel 1997, il 51 per cento degli italiani aveva fiducia nel sindacato mentre il restante 49 aveva un atteggiamento opposto, di sfiducia. Oggi la situazione è molto diversa: la percentuale di coloro che si fidano è precipitata fino al 17. Per quantificare la situazione di crisi in cui si trovano in particolare le grandi confederazioni basterebbero questi numeri dell'Osservatorio Radar scenariale della società Swg, che però vanno letti con qualche attenzione. Da una parte infatti il percorso di discesa non è costante ma conosce varie fasi, con una buona risalita fino al 2003 e poi l'inversione di tendenza che accelera in concomitanza con l'inizio della recessione. Dall'altra nel corso del tempo le risposte degli italiani sulla fiducia hanno avuto un andamento non del tutto coincidente con quelle date ad un'altra domanda, relativa all'utilità della funzione del sindacato: se è vero che si assottiglia anche il numero di coloro che vedono questo ruolo, la caduta appare meno drastica e tuttora poco meno della metà dei cittadini è comunque disposta a riconoscerlo.
LA LIBERALIZZAZIONE
Dal 1997 ad oggi nel mondo del lavoro sono cambiate tantissime cose. Debuttarono in quell'anno le prime norme di liberalizzazione delle forme di impiego atipiche, il cosiddetto pacchetto Treu, e da allora per un decennio circa si è osservata una tendenza ambivalente (replicata in tempi più recenti): aumento complessivo dell'occupazione ma con forte crescita della componente precaria. A scandire l'andamento della fiducia nelle organizzazioni sindacali ci sono però anche eventi collegati alla politica. Nel 2001 il governo di centro-sinistra che aveva portato il Paese nell'euro, ottenendo l'anno precedente il maggior tasso di crescita dei tempi recenti (+3,7 per cento) venne battuto alle elezioni politiche dalla coalizione di centro-destra guidata da Silvio Berlusconi. Tra i primi punti che quell'esecutivo tentò di attuare ci fu il depotenziamento dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. La procedura scelta era indiretta e passava per un regime sperimentale ma oltre a provocare una frattura nel fronte sindacale ebbe certamente l'effetto di compattarne una parte notevolissima: nel marzo 2002 la Cgil guidata da Sergio Cofferati portò a Roma, al Circo Massimo, un numero di persone che nelle varie quantificazioni oscilla da uno a tre milioni ma certamente fu eccezionale. La fiducia nel sindacato come istituzione che nel 1999 era salita al 61 per cento per poi ripiegare l'anno successivo riprese a crescere toccando il picco del 66 per cento nel 2003. In quel periodo la quota di coloro che ritenevano utile la funzione della rappresentanza sindacale viaggiava intorno al 70 per cento.
BRUSCO RIALZO
Da lì è sostanzialmente iniziato il declino rilevato anno per anno da Swg. Già nel 2004 con un brusco balzo il numero degli sfiduciati ha superato il 50 per cento del totale portandosi al 54: su questa percezione potrebbe aver influito un'altra battaglia con il governo Berlusconi che invece fu di fatto persa: la riforma delle pensioni del 2004 firmata dai ministri Maroni e Tremonti.
Con l'ingresso dell'Italia nella grande recessione la forbice si ampliata ulteriormente: nel 2012, anno caratterizzato dai sacrifici del governo Monti (riforma delle pensioni e del mercato del lavoro, inasprimenti fiscali) si è arrivati ad un 80 per cento di cittadini sfiduciati. Poi c'è stato un lieve assestamento, ma è interessante notare come la pur modesta ripresa dell'economia partita nel 2015 non abbia fatto bene al rapporto tra italiani e forze sindacali. È possibile che abbia influito l'attacco ai corpi intermedi ed alla rappresentanza in generale portata avanti da alcune forze politiche, con riforme di grande impatto simbolico come il Jobs Act che ha cancellato l'articolo 18; d'altra parte la pur rilevante inversione di tendenza del mercato del lavoro non ha scalfito il senso di precarietà indotto dai ripetuti casi di crisi industriale e dall'affermarsi di forme di lavoro sempre più deboli in particolare nel settore dei servizi.