ROMA Un'intervista, seppur autorevole, non basta a Sergio Mattarella per considerare chiuso il capitolo-governo. Tantomeno per decidere di sciogliere il Parlamento e chiamare gli italiani alle urne tra qualche settimana come ha chiesto Di Maio dopo il no di Renzi al M5S.
Ovviamente al Quirinale ci si rende conto che la strada per comporre una maggioranza è in salita. L'attesa è tutta per ciò che deciderà dopodomani in direzione il partito guidato da Maurizio Martina, ma l'idea che si possa tornare al voto tra poche settimane non esiste. Soprattutto per il rispetto dovuto agli impegni che l'Italia ha in Europa. A cominciare dal consiglio europeo di fine giugno che si occuperà di migranti, trattato di Dublino e delle proposte di riforma della governance europea
LA SCELTA
Un'attesa, per cio che accadrà alla direzione del Pd, che non guarda tanto alle scelte quanto alla compattezza che sarà in grado di mostrare il partito che rappresenta, con il M5S e il centrodestra, uno dei tre pilatri intorno ai quali costruire una possibile maggioranza. Il venir meno del Pd renderebbe il lavoro del presidente della Repubblica ancor più complicato. Un Pd spaccato in due rischia di tagliarsi fuori da tutto. Di non essere in grado di scegliere se e come continuare a trattare con i grillini, nè avrebbe la forza per sostenere l'ipotesi di un governo per le riforme avanzata da Renzi e che in qualche modo ieri sera l'azzurro Giovanni Toti ha raccolto sostenendo che sarebbe «folle» tornare a votare con la stessa legge che ha generato lo stallo. Riflessioni che a modo loro si iniziano a scorgere anche nei commenti che la base grillina posta dopo la fallita intesa con il Pd.
La sensazione è che, al di là di come ognuno lo chiama (governo del presidente, istituzionale, di tregua, di tutti), stia emergendo nei partiti la consapevolezza che serva un governo mentre il Parlamento riscrive le regole. Perchè tornare a votare con l'attuale sistema elettorale sarebbe assurdo e che - per non farsi correre dietro con i forconi dagli elettori dopo una nuova ed inutile tornata elettorale - occorra mettersi intorno ad un tavolo e trovare un accordo senza che il possibile esito diventi una clava dell'uno contro l'altro.
Ovviamente il rischio che la situazioni precipiti e porti il Paese al voto resta, anche se i conti di chi ipotizza urne a fine giugno o a luglio suonano più che altro come una sorta di pressing sul Pd. Sulla carta rimane aperta la finestra elettorale autunnale che però per Mattarella resta una disgrazia perché rischia di portare il Paese all'esercizio provvisorio senza risolvere, come già detto, il problema della governabilità. Archiviate anche le elezioni in Friuli con la strabordante vittoria del leghista Fedriga, al Quirinale si prevedono per le prossime settimane sempre più incalzanti domande di Bruxelles sui tempi di soluzione di una crisi che molte cancellerie iniziano a non comprendere.
Quesiti che inevitabilmente rimbalzeranno sui partiti che da due mesi pestano acqua tra veti e condizioni. «Un conto è l'opera molto saggia del presidente Mattarella che in questi giorni le sta provando tutte. Un altro è usare il lavoro di Mattarella per sbarazzarsi non solo di Renzi, ma della posizione molto larga che ha nel partito». Andrea Romano, parlamentare del Pd molto vicino a Renzi, punta il dito su coloro che nel partito «sfruttano a modo loro» i tentativi di Mattarella per cercare di dare al Paese un governo. L'idea che Renzi stesse trattando da giorni con i grillini attraverso il ministro dell'Interno Marco Minniti fa sorridere Michele Anzaldi, ma non risolve il problema del che fare per evitare il voto.
IL VOTO
Le dure reazioni grilline all'intervista in tv dell'ex segretario chiudono l'opportunità e non riaprono il forno con la Lega. Salvini ieri ha risposto picche alla richiesta di Di Maio di voto subito Il leader del Carroccio segue una strategia comunque vincente. Le elezioni a breve restano l'obiettivo preferito del leader del Carroccio, ma scontano la contrarietà di Berlusconi che poco crede alla possibilità di modificare l'attuale legge elettorale inserendo un premio di maggioranza nel Rosatellum che - gli assicurano - consentirebbe a FI di avere una sorta di golden share sulla coalizione.
Per evitare strappi con l'alleato, ieri Salvini ha rilanciato «l'andiamo a governare» del dopo 4 marzo. Ovvero la prospettiva di un governo di centrodestra, con premier non Salvini ma Giorgetti. Un'offerta che il leader della Lega rivolge per ora solo al M5S escludendo esplicitamente il Pd. Un eventuale no grillino non impedirebbe al Pd di farsi avanti a patto però di spuntare quel pacchetto di riforme elettorali e costituzionali in grado di rendere governabile il Paese. La scommessa di Renzi sta tutta qui, ma prima di dare un incarico ad un esponente della Lega, Mattarella vuole avere chiari i numeri in Parlamento.