«Dico a Salvini, andiamo insieme a chiedere al Quirinale di andare a votare e facciamo questo secondo turno a giugno». All'indomani del no di Matteo Renzi ai Cinque Stelle, Luigi Di Maio spinge sul voto anticipato, lanciando un appello al segretario della Lega perché dia il suo via libera allo scioglimento delle Camere. Matteo Salvini non risponde in chiaro, ma dal Carroccio trapela un netto no a questa ipotesi. Nessuno teme il ritorno alle urne - sottolineano fonti vicine al segretario federale - ma si sta lavorando alla formazione di un governo del fare, dialogando con tutti, tranne che con il Pd, non a nuove elezioni. Bocciata anche ogni lontana ipotesi di uno strappo con Forza Italia. Anzi, ribadiscono le stesse fonti, il voto friulano ha confermato che la Lega svolge ormai un ruolo centrale all'interno del centrodestra, un punto di riferimento imprescindibile. Insomma, chiusi i due forni, la palla torna nel campo di Sergio Mattarella, chiamato a sciogliere un rebus sempre più ingarbugliato, dopo oltre 50 giorni di nulla di fatto. Il Capo dello stato è consapevole di una situazione «complicatissima», sempre più stretto tra governi di scopo, istituzionali e ritorno alle urne. Tuttavia, esclude ogni ipotesi di elezioni a giugno, come richiesto da Luigi Di Maio, ma trapela la volontà di lavorare nei prossimi giorni a favore della formazione di un governo di tregua. Mentre nel Pd scoppia il caos, in Friuli, il trionfo del leghista Massimiliano Fedriga e la debacle dei Cinque Stelle danno quindi nuovo vigore a Silvio Berlusconi e alla sua proposta di governo a guida centrodestra. Perfettamente in linea anche Matteo Salvini: «Dopo i Molisani, anche donne e uomini del Friuli Venezia Giulia ringraziano il Pd per l'egregio lavoro svolto, e salutano Di Maio & Compagni. Grazie #andiamoagovernare io sono pronto!», commenta su twitter, postando la foto di un due di picche, quello di Renzi a M5s. D'accordo anche la leader FdI, Giorgia Meloni che definisce Di Maio «un bambino capriccioso». E Sergio Rampelli, capogruppo FdI alla Camera, chiede esplicitamente a Mattarella di conferire l'incarico al segretario leghista. Tensione alle stelle, invece, in casa dem, con lo scontro frontale tra il reggente Maurizio Martina e l'ex segretario Matteo Renzi, alla vigilia di una direzione che ormai rappresenta una resa dei conti. Una riunione delicatissima, non tanto per la partita del governo - il no a M5s è considerato scontato - quanto per i futuri equilibri interni e la sopravvivenza stessa del partito. Irritato dalle parole dell'ex premier di ieri sera, Maurizio Martina osserva che «è impossibile guidare un partito in queste condizioni». L'ex Ministro dell'Agricoltura esclude sue dimissioni, ma sottolinea che quanto «accaduto in queste ore è grave, nel metodo e nel merito. Così - ammonisce il reggente - un Partito rischia solo l'estinzione e un distacco sempre più marcato con i cittadini e la società». Durissimo contro Renzi anche Dario Franceschini che chiede alla direzione di fare «chiarezza». «Dalle sue dimissioni Renzi si è trasformato in un Signornò, disertando ogni discussione collegiale e smontando quello che il suo partito stava cercando di costruire. Un vero leader rispetta una comunità anche quando non la guida più». Accuse a cui l'ex segretario replica in modo deciso, ribadendo su twitter il suo no a un'intesa con i Cinque Stelle: «Sono stato eletto in un collegio. Ho il dovere, non solo il diritto, di illustrare le mie scelte agli elettori. Rispetto chi nel Pd vuole andare a governare con #M5S, ma credo sarebbe un grave errore».