E adesso basta. Con Dalfy non è possibile nessuna collegialità o condivisione, e allora si accollasse pure le sue responsabilità. E’ fine di un amore, ammesso che non sia stato invece un calesse, tra presidente e vice presidente della Regione Abruzzo. Lo strappo si consuma una settimana fa e diventa ufficiale in queste ore: domani, nella riunione di maggioranza, la resa dei conti.
Non ci sta più Giovanni Lolli, il vice presidente della giunta regionale al quale il presidente-senatore Luciano D’Alfonso ha affidato il coordinamento della giunta una volta eletto a Roma. Quell’incarico Lolli lo ha rispedito al mittente proprio in queste ore, perché un conto è coordinare l’attività della giunta e un’altra fare l’usciere: no, non ci sta più a mettere il timbro su ciò che decide lui e soltanto lui, senza confronto e senza parlare, non è un signorsì o tantomeno un cameriere. Il senso delle sue parole è questo e il 27 aprile, neppure una settimana fa, lo ha comunicato al presidentissimo e al suo fedelissimo assessore Silvio Paolucci, e tanto per dimostrare che questa volta non scherza per niente, non si è presentato in giunta. I suoi amici raccontano che era imbufalito, e che le urla si sono sentite in tutta la Regione.
Si era impegnato, Lolli, a ricucire con Donato Di Matteo per esempio, perché riteneva che il Pd senza di lui non potesse andare da nessuna parte. Si era impegnato a costruire un percorso programmatico che tentasse di recuperare tutto ciò che era stato trascurato in questi quattro anni di governo D’Alfonso: attenzione per il sociale, sanità, lavoro, politiche per la povertà. Ma soprattutto maggiore collegialità, ascolto, partecipazione da parte di tutti: niente di niente, Dalfy se n’è beatamente infischiato ed è passato come un caterpillar sopra agli assessori, presentando un pacchetto di nomine di suoi fedelissimi, che alla fine della legislatura e con l’incompatibilità alle porte, è stata letta come una deriva, una forzatura, uno schiaffo agli elettori e alle regole della democrazia. No, Lolli in giunta ad approvare quelle porcherie non c’è andato, ha sbattuto la porta, fatevele voi le nomine, ha detto ai suoi colleghi.
Ne parlerà domani nella riunione di maggioranza e del gruppo Pd, perché lui le cose non le manda a dire.
“Io ho una mia idea del modo di governare, che prevede il massimo della collegialità e della condivisione – sembra abbia detto a Dalfy e Paolucci – Ritenevo anche che in questa fase occorresse dare qualche segnale di discontinuità rispetto al passato. In una fase come questa, ho dato la mia disponibilità a gestire la Regione, ma secondo i principi di maggiore collegialità e condivisione”.
Principi che dovrebbero valere sempre, secondo il vice presidente, e a maggior ragione in una fase di transizione come questa, in cui anzi
“ascoltare le opinioni di tutti sarebbe obbligatorio”.
Ma sia chiaro, ha aggiunto,
“io ho un profondo rispetto per le gerarchie e per i ruoli: il presidente sei tu e io sono il vice, ed è quindi giusto che tu ti assuma tutte le responsabilità”.
Della serie, adesso il coordinatore lo fai tu. Lui non può fare il ratificatore delle scelte altrui.
Il segretario Pd, Marco Rapino
“Io dico quello che penso”, ha spiegato Lolli ai suoi amici, e dopodomani dirà alla direzione Pd che se Dalfy vorrà andare avanti alle sue condizioni, ci andrà da solo, senza di lui.
Dirà che probabilmente non è proprio la risposta adatta, quella che sta dando la Regione in questi ultimi giorni, dopo lo schiaffo elettorale del 4 marzo, e non lo è soprattutto, per tutta la coalizione di centrosinistra, in vista delle prossime elezioni regionali.
ps: e sì, perché se Dalfy e Camillo D’Alessandro si sono messi in salvo a Roma, tutti gli altri, partito compreso, resteranno qui a morire con Sansone.