L'AQUILA Il vero colpo di teatro non è dei 5 Stelle che fanno entrare in aula nientemeno che Mazzini e Garibaldi. Né di Donato Di Matteo, Andrea Gerosolimo e Mario Olivieri, che ieri mattina hanno calato la maschera passando dall'altra parte, quella dell'opposizione.Non lo è neppure il risultato da brividi, 16 a 15, con cui la maggioranza in consiglio regionale ha vinto la partita finale, sulla non incompatibilità del senatore-governatore, contro 5 Stelle e centrodestra, grazie al voto provvidenziale del presidente del consiglio, Giuseppe Di Pangrazio, verso il quale si è scagliato il forzista Mauro Febbo urlando «Giuda». Nulla di tutto ciò può però valere la decisione maturata in serata da Luciano D'Alfonso di optare per l'Abruzzo rinunciando al Senato. È il vero colpo di teatro che fa diventare sorpassate le altre notizie della giornata più lunga e difficile per la sua maggioranza. La questione delle dimissioni dalla Regione è superata dagli eventi nazionali. Inevitabilmente superata. «Sì, è vero», conferma D'Alfonso che, presto, ufficializzerà di rimanere in carica come governatore fino alla fine della legislatura, la primavera del 2019. E l'antidoto a quel 16 a 15, seguito dalla mozione di sfiducia che Forza Italia con il M5S ha preparato per il prossimo consiglio (in realtà è una doppia mozione, l'altra va colpire il presidente del consiglio Di Pangrazio per quel voto poco neutrale), sta per D'Alfonso nel «riconquistare solidarietà in maggioranza attraverso la gestione finanziario-amministrativa».Il senatore-governatore, anzi il governatore e basta, si spiega meglio: «La pace si consegue attraverso la civiltà degli investimenti a cui dedicherò gli ultimi mesi di questa legislatura. Sarà un'apoteosi di investimenti per l'Abruzzo». Tutto il resto è roba datata, anche se è avvenuta solo 24 ore fa. Incompatibilità in Regione, disquisizioni su articoli della Costituzione e persino il ricorso al tribunale dell'Aquila presentato dai 5 Stelle, diventeranno presto "cessata materia del contendere", come direbbe un giudice amministrativo. Ma va comunque raccontato almeno nei momenti che hanno sfiorato il dramma, seppure in chiave politica. Come la giaculatoria diventata invettiva, quasi da sesto canto dell'Inferno dantesco, di Di Matteo contro D'Alfonso. Al quale il primo ha anche regalato due libri con dedica ("dal grande consenso al buio elettorale"). Peccato che uno dei due testi è sul Partito d'azione che ha dato a D'Alfonso l'assist per associare, all'ex assessore transfuga, la parola "inazione", per quelle che sono state numerose assenze in giunta di Di Matteo. Le critiche sferzanti dei 5 Stelle e Forza Italia a Di Pangrazio, reo di quel voto salvafaccia delle maggioranza, sono state un altro frangente da dramma. Salvo poi scoprire che il vero salvagente lo hanno lanciato a D'Alfonso i due rappresentati di Leu, Marinella Sclocco e Mario Mazzocca.Altrimenti oggi staremmo a parlare di sconfitta politica e non di vittoria sul filo di lana. Anche se ormai poco importa visto che, nei prossimi giorni, il governatore dismetterà i panni ancora intonsi da senatore per dedicarsi al cento per cento all'Abruzzo. Con nuovi fedelissimi alleati.