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Data: 09/05/2018
Testata giornalistica: Prima da Noi
Incompatibilità D’Alfonso, Di Matteo gli regala due libri e attacca: «stai distruggendo centrosinistra». Ha lanciato il primo invito ad annullare tutti gli atti (anche clientelari) firmati dopo l’elezione a senatore

ABRUZZO. Toni fermi, a tratti malinconici e pacati per l’ultimo attacco (in ordine di tempo) che l’ex assessore Donato Di Matteo ha riservato al presidente-senatore Luciano D’Alfonso.

Pochi minuti dopo il salvataggio dell’aula del Consiglio, quando 16 consiglieri hanno battuto gli altri 15 decretando che non ci sia incompatibilità per Luciano D’Alfonso, è arrivato l’ennesimo colpo contro D’Alfonso.


Di Matteo non ha risparmiato nemmeno il presidente Giuseppe Di Pangrazio («da anni sta trasformando questo Consiglio in una farsa»), preso di mira anche dal centrodestra intenzionato a chiederne la sfiducia per aver votato contro la incompatibilità e non essendo rimasto, dunque, nel suo ruolo terzo di presidente del Consiglio. Voto che tra l’altro ha consentito che la partita di D’Alfonso non finisse con un pericoloso pareggio.



D'ALFONSO NON E' INCOMPATIBILE

Nella votazione più critica finita sul filo di lana, hanno inciso i tre sì di esponenti di maggioranza di centrosinistra che hanno votato con le opposizioni: i due assessori uscenti della Giunta D'Alfonso, Donato Di Matteo (ex Pd ora Regione Facile) e Andrea Gerosolimo (Abruzzo Civico), e il consigliere di maggioranza Mario Olivieri, anche lui esponente di Abruzzo Civico.

Di risposta, Di Pangrazio ha detto che la sua prerogativa «non è quella di stare attaccato alla poltrona ma di gestire nel migliore dei modi il Consiglio regionale. Il presidente ha titolo a dire la sua perché è anche consigliere regionale».

Il voto del presidente del Consiglio regionale ha generato anche un vivace scontro dai banchi delle opposizioni.

«Giuda», gli ha apostrofato il consigliere di Forza Italia, Mauro Febbo.

Poi applausi ironici accompagnati da 'buu' e 'vergogna'.



LA RESA DEI CONTI DI DI MATTEO
Ma l’attacco più duro è forse proprio quello di Donato Di Matteo, già indicato nel passato come uno degli esponenti del Partito dell’acqua e poi divenuto gregario di un Pd di cui dice non fa più parte e al quale ben presto darà del filo da torcere alle prossime elezioni regionali e comunali (Pescara).

Meraviglia non poco che l’ex assessore abbia dichiarato -senza peraltro dargli troppo peso- anche il fatto che non parla da anni con il presidente D’Alfonso. Se le vicende personali e le spigolosità culturali magari non interessano ai più, ci sarebbe da capire come sia stato possibile per Di Matteo mandare avanti il proprio ufficio di assessore in queste condizioni.

Ed infatti Di Matteo ha sempre lamentato una sorta di ostracismo della giunta intera nei confronti delle sue proposte di delibere che sono rimaste spesso congelate e mai approvate, quasi configurando l’istituto di diritto internazionale della ritorsione.

«Oggi sono venuto qui sereno e con spirito della felicità e per questo», ha detto Di Matteo, «voglio regalare due libri … io purtroppo con lui non parlo da tanto tempo… sono due libri che lo aiuterebbero a capire… il grande problema che c’è in Italia e in Abruzzo è il narcisismo. Gli regalerò questo libro se lui gentilmente lo accetterà e quest’altro libro che riguarda la felicità. Gli ho fatto anche una dedica: ‘dalla speranza al buio della disperazione, dal grande consenso al disastro elettorale con affetto, rifletti, Donato’».



Poi è andata in scena la votazione contestata e Di Matteo, dopo aver votato per l'incompatibilità di D'Alfonso, riprende la parola.


SOLO CAVILLI E NESSUNA DISCUSSIONE POLITICA
«Abbiamo assistito ad una cosa straordinaria», ha esordito, «caro presidente (D’Alfonso nrd) mi rivolgo a lei perchè veniamo da due paesi vicini. Se fossi stato in lei non avrei fatto parlare due avvocati della maggioranza ma quelle persone che hanno nella storia della politica un radicamento ed un’etica assolutamente indistruttibili. Quelli rafforzano l'immagine della coalizione».

Di Matteo ha contestato il livello della discussione tutto incentrata su cavilli, interpretazioni giurisprudenziali e voli magari arguti e non su argomenti più politici e di pura opportunità. Anche per questo ha accusato D’Alfonso di essere l’artefice della distruzione del centrosinistra.

«Noi usciremo da qui con una grande condanna dei cittadini abruzzesi», ha aggiunto Di Matteo, «e questo è il motivo per cui dico bisogna avere il coraggio di dire sì. La gente sa che c’è un centrosinistra diverso che non è il suo (di D’Alfonso ndr) centrosinistra, che deve avere la capacità di dire che c’è qualcuno che non si sottomette alle sue imposizioni. Se ne faccia una ragione. In più di un’occasione ha mostrato la forza ai componenti di questa maggioranza e anche ad altri. Io non lo avrei fatto, lei lo ha fatto. Sono disposto, sarei stato disposto a fare un ragionamento politico sulla incompatibilità se ci fosse stato spazio per una nuova stagione del centrosinistra. Cosa che non è. Dopo le elezioni lei presidente non ha fatto nessuna analisi degli errori, non tutti suoi ma in gran parte sì. Invece ha continuato per due mesi a firmare provvedimenti in autonomia senza condivisione con la sua maggioranza. Andiamo alle elezioni per morire? Ma come ci ripresentiamo ai cittadini che ci hanno votato e che vorrebbero atteggiamento sensato?»

UN UOMO SOLO AL COMANDO
Accuse gravissime già in gran parte emerse circa le modalità di determinazione della volontà della giunta e della sua scarsa collegialità istituzionale così come scarsa collegialità c’è nel Pd ormai teleguidato da una oligarchia in crisi.

Di Matteo dal canto suo ha confermato di impegnarsi nel «civismo» e di staccarsi il più possibile dal Pd “suicida” ed ha terminato sempre rivolgendosi a D’Alfonso: «da lei dipende il futuro, ci rifletta faccia oggi la revoca dei provvedimenti degli ultimi due mesi soprattutto quelli che sono nocivi della maggioranza».


Provvedimenti per alcuni addirittura annullabili per molti altri inopportuni perchè riguardano impegni dell’ente Regione per il futuro con spese anche prettamente rivolte a fedelissimi, ricompensati anche per lavori “gratuiti” per l’allora candidato presidente in campagna elettorale.

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