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Data: 09/05/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Il bus come una bomba fiamme e paura in Centro. L'autista Pietro Onori «Ho fatto solo il mio dovere. Non mi sento un eroe»

ROMA «Maledetti terroristi». Mani nei capelli e un filo di voce, lo smarrimento dell'anziana signora è l'istantanea più nitida della mattina di paura vissuta ieri in via del Tritone, centro storico della Capitale, a due passi dai palazzi della politica. Ore 10,25: un boato, le fiamme e tanto fumo. L'incubo dell'Isis è però durato pochi minuti: a causare gli attimi di terrore, il ferimento di una donna che è fuggita dal proprio negozio per evitare l'incendio che avanzava nel suo locale e tanti danni, è stato un autobus dell'Atac, l'azienda municipalizzata del trasporto pubblico che in questi mesi sta tentando la strada del concordato preventivo per salvarsi dal fallimento. Un corto circuito, il fumo che inizia a uscire dal vano motore, poi le fiamme e l'esplosione di uno pneumatico del mezzo. E minuti di autentico panico. L'autista, con anni di esperienza alle spalle, ha fatto scendere i passeggeri che erano a bordo non appena si è accorto del fumo, tra urla e lacrime di paura. Quindi ha preso l'estintore per provare a domare l'incendio che aveva iniziato a divorare la vettura. Ma è stato necessario l'intervento dei vigili del fuoco per spegnere completamente le fiamme. Un miracolo che i passeggeri, una ventina quelli che si trovavano sul bus, siano rimasti illesi.
LO SPAVENTO
Tutto intorno, nel frattempo, si espande la psicosi attentato. Le fiamme alte che divampano dal bus, a poche centinaia di metri da Palazzo Chigi portano alla mente di tanti le bombe di Londra del 2005. Commercianti, commesse e turisti si rifugiano dentro i negozi. C'è voluto un po' per capire che non c'erano ordigni o terroristi in fuga. «Ho sentito un boato fortissimo e la prima cosa che ho pensato è che si trattasse di una bomba racconta un negoziante Poi ho visto il fumo, tantissimo, e le fiamme che partivano dall'autobus». «Mi sono chiuso dentro il negozio racconta Nino Di Porto, titolare del negozio di pelletteria che affaccia proprio in quel tratto di strada Il fumo aveva invaso la stanza, non riuscivo quasi a respirare. Ho abbassato la serranda e poi ho sentito uno scoppio. Avevo paura potesse esplodere tutto».
I DANNI
Sotto accusa è finita ancora una volta la vecchia e scarsamente manutenuta flotta del trasporto pubblico romano. L'autobus coinvolto, ora sotto sequestro, è in servizio da 15 anni e lo scorso novembre era stato costretto a ripetere la revisione periodica a distanza di una settimana con una stranezza: nel secondo controllo (come riportato sul Portale dell'automobilista il chilometraggio indicato, 623.000, è risultato inferiore al primo, 623.949). È il decimo mezzo pubblico andato a fuoco soltanto nel 2018: la prima vettura peraltro era stata avvolta dalle fiamme sulla stessa linea, la 63. Sul posto, mentre veniva chiusa al traffico un'arteria fondamentale per la mobilità del centro cittadino, è invece iniziata la conta dei danni: la donna rimasta ustionata è stata portata in ospedale, per un'ustione di II grado al braccio destro e di I grado al volto. Ne avrà per 20 giorni. «L'ho vista entrare urlando nel nostro locale racconta Andrea Cassone, del Mc Café aveva mezza faccia ustionata, il braccio destro e anche una parte di gamba». Un negozio è rimasto danneggiato dal rogo ed è stata annerita parte della facciata di un palazzo ottocentesco che si affaccia sulla strada. I manichini bruciati e anneriti dalle fiamme sono in mezzo alla carreggiata strada, accanto a due estintori bruciacchiati, frammenti di vetro dei finestrini, resti di sedili sciolti nel rogo.
L'INCHIESTA
La Procura di Roma intanto ha aperto un fascicolo di indagine: gli inquirenti al momento ipotizzano il reato di delitto colposo di danno in tema di incolumità pubblica. E anche l'Atac ha avviato un'indagine interna per accertare le ragione dell'incendio. Ma la giornata nera dell'azienda capitolina non è finita qui: passate poche ore dal primo incidente, un altro bus del trasporto pubblico è andato a fuoco in una strada periferica, in via di Castel Porziano a Ostia, senza causare feriti. Anche in questo caso l'autista è riuscito a far scendere i passeggeri, in gran parte studenti, e ha tentato di spegnere le fiamme.


«Ora sono in ospedale, è stata dura, ma sto bene». Risponde con un filo di voce Pietro Onori, l'autista dell'Atac che ieri mattina si è trovato al volante di un bus esploso nel cuore della Città eterna, a metà strada tra piazza Barberini e via del Corso, il passeggio dello shopping e il via vai dei turisti. Dal grigiore di una giornata piovigginosa al fuoco delle fiamme che ha divorato tutto: la cabina di guida, i sedili dei passeggeri, la carcassa di un bus vecchio di quindici anni. Tutto annerito dalla caligine tossica delle vampe. Lui, Pietro, non ci ha pensato un attimo: appena ha visto la prima scia di fumo uscire fuori dal vano motore, ha bloccato il mezzo e ha fatto scendere tutti. Poi ha imbracciato l'estintore e ha cominciato a schizzare contro la navetta avviluppata dal fuoco.
Pietro sa che è grazie al suo istinto e alla sua velocità di reazione se questa mattinata di paura e fuoco nel cuore di Roma si è conclusa con un solo passeggero ferito, che non è in pericolo di vita, anche se ha riportato ustioni di secondo grado.
«Qualcuno in famiglia dice che ora meriterei un premio, ma non è vero, non sono un eroe o almeno non mi sento così - dice Pietro al telefono - Ho solo fatto il mio dovere, qualunque altro autista si sarebbe comportato nello stesso modo».
Sulla sua salute, rassicura tutti: «Sono in ospedale, ma sto bene, non ho avuto ferite». È la prima cosa che ha detto anche ai vigili del fuoco intervenuti in via del Tritone, quelli che sono riusciti a domare le fiamme mentre la colonna di fumo nero si allungava sui palazzi della strada fino quasi a toccare il cielo.
Si dice che un comandante non abbandona mai la sua nave. Chissà se vale anche per gli autobus. Certo è che Pietro, fino a quando l'ultima lingua di fuoco non è stata domata, è rimasto lì, a controllare la situazione. Col telefono in mano, per parlare alla centrale operativa dell'Atac, l'azienda che gestisce i trasporti pubblici di Roma, oppure dialogando faccia a faccia con gli agenti della polizia intervenuti sul posto.
LA LUCE SUL MONITOR
«Mi sono accorto che qualcosa non funzionava quando sul motore si è accesa una spia: quella dell'avaria. Ero da poco entrato nel Tridente - ha detto l'autista agli investigatori - A un certo punto, con la coda dell'occhio, ho visto il fumo uscire dalla parte posteriore del bus. Ho capito che in quelle condizioni sarebbe stato pericoloso andare avanti, ecco perché appena possibile ho subito fermato la vettura». Il mezzo dell'Atac si arena accanto al marciapiedi, davanti alla vetrina di un paio di negozi, a metà strada tra la piazza con la fontana del Tritone del Bernini e l'incrocio di via del Corso, la Galleria Sordi, qualche centinaio di metri ancora più avanti e sbuca Palazzo Chigi.
«Poco dopo - racconterà Pietro agli agenti del commissariato Trevi, diretto da Mauro Fabozzi - ho provato a spostare l'autobus, perché mi sono reso conto che era molto vicino a un palazzo e alle vetrine dei negozi. Ma quando sono rimontato in cabina era già tardi: non era più possibile metterlo in moto e ripartire, anche solo per sistemarlo qualche metro più in là, al centro della strada, in modo da non essere vicino a nessun edificio».
LA COMPAGNA E IL FIGLIO
Solo dopo essersi assicurato che «tutti i passeggeri fossero in salvo», Pietro ha chiamato la famiglia, per rassicurarli: «Ero io alla guida del bus, ma sto bene».
Pietro, 35 anni, ha una compagna e un bambino piccolo, 4 anni. Vive a Contrada San Francesco, a Carsoli, paesino di 5.393 anime in provincia de L'Aquila. Ha imparato a guidare fin da giovane, mettendosi al volante dei camion con cui il padre commerciava bestiame. Poi, dieci anni fa, l'ingaggio nella più grande partecipata dei trasporti del Paese. «Tanti autisti dell'Atac vengono da Carsoli, non è l'unico - dicono in famiglia - Pietro lo era venuto a sapere e ha provato anche lui ad essere assunto, per fare l'autista». Mestiere difficile, specie negli ultimi tempi, quando si sente spesso parlare di aggressioni, sassaiole, bus che vanno a fuoco. Dieci roghi dall'inizio del 2018. E quando capita, Pietro lo sa, tocca reagire subito, senza perdere secondi preziosi. «Ho preso l'estintore del bus, poi quando è finito ne ho chiesto un altro in prestito al primo bar che ho trovato sulla strada. Ma le fiamme erano troppo alte. Non potevo farcela da solo. Per fortuna sono arrivati i soccorsi. Ho solo fatto la mia parte, non sono un eroe».

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