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Pescara, 24/11/2024
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17/05/2018
Il Centro
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L'inchiesta sui 29 morti - Rigopiano, dodici nuovi indagati . Politici e tecnici: ecco tutti i nomi. A D'Alfonso, Chiodi, Del Turco e a quattro assessori si aggiunge un drappello di dirigenti regionali. Il procuratore Serpi: «Un atto dovuto». Dieci anni di ritardi nel mirino dei carabinieri-forestali. Il governatore si difende con 3 atti. Nel 2014, appena eletto, iniziò a fare pressione per avere la carta delle valanghe |
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PESCARA Tre presidenti di Regione, Ottaviano Del Turco, Gianni Chiodi e Luciano D'Alfonso come massima autorità di protezione civile; l'organo politico in materia, vale a dire i quattro assessori alla protezione civile che si sono susseguiti dal 2007 al 2017, Tommaso Ginoble (2005- 2008), Daniela Stati (gennaio 2009-agosto 2010), Gianfranco Giuliante (2011-2014) e Mario Mazzocca (dal 2014) e poi, a cascata, direttori e dirigenti del dipartimento di Protezione civile di quegli stessi anni, quali Carlo Visca (direttore del dipartimento dal 2009 al 2012), Vincenzo Antenucci (dirigente Servizio prevenzione rischi e coordinatore del Coreneva dal 2001 al 2013) e Giovanni Savini (direttore del dipartimento di protezione civile per tre mesi nel 2014) che avrebbero dovuto rispettivamente curare e realizzare l'attuazione del programma di prevenzione; oltre al responsabile della sala operativa della Protezione civile, Silvio Liberatore, e al dirigente del servizio di Programmazione di attività della protezione civile Antonio Iovino: sono dodici i nuovi indagati dalla Procura per concorso in disastro colposo (eccetto Liberatore e Iovino), omicidio colposo e lesioni colpose in relazione alle 29 vittime della valanga di Rigopiano. CHI DOVEVA PREVENIRE. Dodici nomi attraverso cui, dopo i 23 indagati dei mesi scorsi e i relativi interrogatori, la Procura mira adesso a ricostruire la gestione della prevenzione. In particolare, a individuare eventuali responsabilità nella mancata realizzazione della Carta di localizzazione del pericolo da valanghe richiesta dalla legge regionale del 1992. Lo strumento di prevenzione tirato in ballo da subito dalla difesa del sindaco di Farindola Ilario Lacchetta (tra i 23 indagati), gli avvocati Cristiana Valentini, Goffredo Tatozzi e Massimo Manieri e alla cui mancata realizzazione si sono poi appellati, in sede di interrogatorio, a dicembre, gran parte degli altri indagati. E per un motivo ben preciso: individuando il pericolo di valanghe a Rigopiano, come già la carta storica redatta nel 2006 indicava, la Carta di localizzazione dei pericoli valanghe (Clpv) avrebbe impedito l'ampliamento dell'hotel nel 2007 o gli avrebbe imposto la chiusura invernale. Oppure, avrebbe disposto adeguate, sia pur costose, misure di sicurezza. E i morti di Rigopiano, a prescindere dalla strada bloccata dalla neve per cui deve rispondere tra gli altri il presidente della provincia Antonio Di Marco e da tutti i ritardi nella gestione dell'emergenza affidata in primo luogo al prefetto Francesco Provolo (entrambi già indagati), non ci sarebbero mai stati. NEL CASSETTO. Invece, sostengono gli investigatori, la carta di localizzazione è stata bloccata sul nascere. Perché il suo primo embrione, la carta storica delle valanghe redatta da una società privata per conto della Regione nel 2006, sarebbe rimasto chiuso in un cassetto per sette anni. O meglio, due volte è stata tirata fuori per approntare la delibera attraverso cui informare i Comuni dei pericoli e avviare la Clpv. E per due volte, nel 2007 e nel 2011, è stata rimessa nel cassetto. Ed entrambe le volte, iporizza la Procura, dallo stesso dirigente, Vincenzo Antenucci. Quando agli sgoccioli della giunta Chiodi, nel 2014, con una delibera viene poi chiesto alla politica di trovare i denari per realizzare una prima porzione della Clpv, la cui redazione era stata avviata nel 2013, l'iter appena avviato si sarebbe interrotto irrimediabilmente, per motivi al vaglio della procura, con la nuova giunta di centrosinistra i cui dirigenti e funzionari sulla Clpv si confrontano a colpi di mail e atti protocollati fino a quando la valanga arriva davvero, il 18 gennaio 2017. Subito dopo, a febbraio, sempre secondo l'accusa, D'Alfonso ordina la programmazione di una Clpv regionale, e non più frammentata, individuando anche i fondi. È questo lo scenario ricostruito dai carabinieri forestali attraverso l'imponente mole di mail e documenti sequestrati in tutti questi mesi negli uffici della Regione. Documentazione che, confermata da quanto raccontato negli interrogatori dagli altri dirigenti e funzionari regionali indagati, a cominciare da Sabatino Belmaggio, hanno consentito alla Procura di imbastire la terza fase dell'inchiesta. PARLA IL PROCURATORE. Una fase che il procuratore Massimiliano Serpi spiega così: «Si è reso necessario, anche alla luce degli elementi acquisiti e conseguenti sviluppi investigativi, approfondire il tema dei tempi, modi e risorse finanziarie necessarie per la redazione della Carta localizzazione pericolo valanghe da parte della Regione Abruzzo sia nelle sue articolazioni politiche che tecniche amministrative a far tempo dall'emergere nel 2007, nell'ambito della carta storica delle valanghe, del sito di Rigopiano, nonché in punto di gestione regionale dell'emergenza neve nel gennaio 2017». E nel ricordare i temi approfonditi in questi sedici mesi di indagini (prevenzione rischio valanghivo; rispetto delle norme per l'edificazione del resort e di prevenzione dagli infortuni dei lavoratori dell'hotel; gestione dell'emergenza neve e viabilità; eventuali ritardi nei soccorsi), il procuratore di Pescara riferendosi ai nuovi indagati sottolinea: «Un atto necessario perché queste posizioni possano essere oggetto della doverosa valutazione giudiziaria». «QUA CI SCAPPA IL MORTO». In questa valutazione giudiziaria rientra anche, e ancora, la gestione dell'emergenza dopo la tragedia di cui si chiede conto a Liberatore e Iovino, chiamati in causa, come D'Alfonso, da un'altra denuncia presentata a marzo dagli avvocati Valentini, Tatozzi e Manieri che ricostruiscono l'operato del Comitato operativo regionale di Emergenza, il Core, riunito, scrivono i legali: «Alle 15,30 del 18 gennaio 2017, con minimo due giorni di ritardo». Ritardo che fa dire a Liberatore, intercettato dalla Procura dell'Aquila la mattina del 18 gennaio mentre segnala a D'Alfonso l'urgenza di convocare il Core: «Qua dobbiamo fare un tavolo perché sennò ci scappa il morto».
Il governatore si difende con 3 atti. Nel 2014, appena eletto, iniziò a fare pressione per avere la carta delle valanghe
PESCARA È il 13 giugno del 2014 quando Luciano D'Alfonso, appena eletto governatore, protocolla il primo di tre atti che oggi possono chiarire la sua posizione nell'inchiesta su Rigopiano. Con il primo atto, il presidente della giunta regionale «rappresenta l'urgenza, estremamente significativa, di rilevare nel dettaglio tutte le iniziative in corso assunte dai dirigenti, direttori e assessori». Si parla della carta del pericolo valanghe al centro dell'ultimo filone d'inchiesta che vede D'Alfonso indagato. Passano solo dieci giorni e, il 23 giugno 2014, il governatore protocolla un secondo atto con cui chiede ai dirigenti regionali della Protezione civile di informarlo di «tutti gli elementi conoscitivi che potessero consentire la ripresa, lo svolgimento e la conclusione fruttuosa delle azioni amministrative e progettuali in corso». A rispondergli è il direttore regionale del dipartimento Lavori pubblici del tempo, Pierluigi Caputi, che, il 27 giugno del 2014, lo informa sia dell'esistenza, già dal 2012, della "carta storica delle valanghe", sia che era in corso la predisposizione della carta di localizzazione del pericolo da valanghe sui bacini sciistici del Gran Sasso e Prati di Tivo, storicamente le zone con maggior frequenza di valanghe, ma che occorreva estendere lo studio sull'intera regione e che, per farlo, servivano risorse specifiche. Arriviamo al 2 settembre 2014, cioè al terzo atto favorevole a D'Alfonso. Quel giorno il governatore chiede di attivare «espressamente ogni utile risorsa umana e strumentale per definire, entro il 26 settembre, tutti i procedimenti amministrativi necessari». E il 25 settembre, il direttore generale dei Lavori pubblici gli risponde impegnandosi ad agire in modo sollecito. Altri atti risalgono al 17 febbraio del 2015. Nell'insieme dimostrano, per la difesa, che non c'è stata inerzia. L'iter ha un'accelerazione dopo la tragedia. Il 2 febbraio del 2017 viene trasmessa una nota dirigenziale a D'Alfonso, all'assessore al bilancio Silvio Paolucci e al sottosegretario Mario Mazzocca, in cui viene richiesta la somma di un milione e 300mila euro per realizzare la carta delle valanghe.
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