ROMA L'esercizio era abbastanza semplice e in tanti lo hanno fatto. È bastato prendere il contratto «per il governo del cambiamento» di Lega e Movimento Cinque Stelle, avviare il programma di ricerca per parole, scrivere Sud e attendere il risultato: due sole citazioni. La prima, generica, riguardava l'Europa nel suo complesso e la necessità di prestare maggiore attenzione ai Paesi del Sud. La seconda riguardava invece l'Ilva. Il Mezzogiorno, insomma, nell'ultimissima bozza del contratto di governo era citato una ed una sola volta, a proposito della riconversione (nei fatti chiusura) dello stabilimento siderurgico di Taranto. Tanto è bastato per accendere la miccia delle polemiche politiche, partite soprattutto in considerazione che il Movimento Cinque Stelle nel Mezzogiorno ha il suo principale serbatoio di voti. Il ministro per la coesione territoriale, Claudio De Vincenti, ha accusato i due partiti di ignorare il Sud. Tutto il centrodestra ha sparato a palle incatenate. Da Giorgia Meloni fino a Mara Carfagna, le parole sono state «tradimento». Un fuoco di fila che ha costretto fonti del Movimento ad annunciare in fretta e furia che un capitolo sarebbe stato aggiunto nella versione finale del contratto di programma. Ma così non è stato, perché la Lega, si è rifiutata, chiedendo «discontinuità con il passato» e dicendosi contro «scelte propagandistiche». Un ennesimo braccio di ferro tra i due futuri soci di governo.
LE RIVENDICAZIONI
Ma se un capitolo Sud non c'è, La Lega, che pure ha cancellato dalle sue insegne la dizione «Nord», è riuscita a difendere gli interessi settentrionali, che nel contratto di programma hanno trovato decisamente sfogo. Basta leggere il capitolo sulle autonomie. «Sotto il profilo del regionalismo», dice il programma, «l'impegno sarà quello di porre come questione prioritaria nell'agenda di governo l'attribuzione, per tutte le Regioni che motivatamente lo richiedano, di maggiore autonomia in attuazione dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione, non ultimo portando a conclusione le trattative tra Governo e Regioni attualmente aperte. Il riconoscimento delle ulteriori competenze», si legge ancora, «dovrà essere accompagnato dal trasferimento delle risorse necessarie per un autonomo esercizio delle stesse». Lombardia e Veneto hanno già votato i loro referendum autonomisti e sono al tavolo con l'attuale governo, non amico, per ottenere competenze e risorse. Il nuovo governo, nella sua componente leghista, è pronto a fare da sponda. Ma qual è la principale richiesta arrivata da Lombardia e Veneto, quella su cui è stata costruita tutta la campagna referendaria? Trattenere in quelle due Regioni il cosiddetto «residuo fiscale», il surplus di tasse pagate dai cittadini delle due Regioni rispetto al finanziamento dei servizi. Un surplus che oggi viene redistribuito verso le Regioni del Mezzogiorno che invece hanno un deficit. Non è una questione da poco. Così come non lo è un altro punto segnato da Matteo Salvini: la regionalizzazione dei concorsi per assumere docenti e una corsia preferenziale di quelli «legati al loro territorio».
POCHE CONCESSIONI
Per il Mezzogiorno, in realtà, c'è poco perché c'era poco nello stesso programma elettorale del Movimento Cinque Stelle, nel quale un capitolo sul Sud non era presente. C'è il «Reddito di cittadinanza», i 780 euro al mese ai poveri che andrà per la maggior parte al Sud (si stimano 13 miliardi su 17), ma senza investimenti, infrastrutture, servizi pubblici decenti, sarà difficile creare quel lavoro che pure dovrebbe essere offerto a chi ottiene il sussidio. Sussidio che la Lega ha imposto, almeno nelle ultime bozze, che fosse a tempo. C'è un capitolo sul turismo, con la creazione di una strutture statale per rilanciarlo, l'introduzione di aiuti fiscali, una web tax turistica per chi fa concorrenza sleale oltre all'abolizione della tassa di soggiorno. C'è la futura banca degli investimenti, ma da nessuna parte è scritto che servirà a finanziare il recupero del gap infrastrutturale tra le due aree del Paese.