Da maestro del diritto amministrativo e giudice emerito della Corte costituzionale, Sabino Cassese riconosce che nell'ultima versione del contratto di governo sono state corrette o almeno attenuate alcune assurdità giuridiche originariamente formulate. Quel che proprio non riesce a digerire, è l'«incomprensibile» trattamento riservato al Mezzogiorno, toccato solo di sfuggita con una frase «non si sa se più misteriosa o sgrammaticata».
Professore, quale può essere valore giuridico di un contratto come quello tra M5s e Lega, che non solo contiene punti programmatici ma sembra intervenire - condizionandoli - su comportamenti di attori istituzionali?
«Nella versione definitiva sono stati corretti molti errori presenti nella bozza che era circolata. Ora è un mero accordo tra forze politiche, che contiene impegni per le parti. Mi pare che poi debba essere travasato nel discorso programmatico che il futuro presidente del Consiglio farà in Parlamento. Poi, i singoli punti dovranno essere oggetto di singoli provvedimenti di legge; alcuni di legge costituzionale, perché si intende incidere sul divieto di vincolo di mandato per i parlamentari, sul quorum strutturale per i referendum abrogativi, sui referendum propositivi, sul rapporto Costituzione-diritto europeo.
In particolare cosa pensa del cosiddetto comitato di conciliazione?
«Ora è tutt'altra cosa rispetto allo sgorbio istituzionale che era presente nel testo provvisorio. Sarà regolato da separato accordo. Sarà composto dalle parti, le due forze politiche, senza titolari di cariche pubbliche governative e parlamentari ratione officii. Si evitano così commistioni tra privato (partiti) e pubblico (Parlamento e governo). È stata ripristinata la proposta iniziale, che era contenuta nel testo richiesto dal M5S a un gruppo di studiosi di grande competenza».
Entro quali limiti un programma di governo può toccare materie che rientrano in Trattati europei, ad esempio in tema di unione monetaria?
«Anche qui sono state fatte correzioni. Il paragrafo sull'Unione europea si interessa di attuazione dei trattati, di rafforzamento del Parlamento europeo (quindi meno sovranismo), di rappresentanza delle regioni a livello europeo, di potenziamento dell'Europa sociale rispetto a quella economica. Piuttosto, in altra parte, il paragrafo 20, si afferma che la Costituzione dovrebbe prevalere sul diritto europeo, in parziale contrasto con l'articolo 117 della Costituzione italiana, come interpretato dalla Corte costituzionale, per cui sono solo i principi supremi costituzionali che hanno collocazione superiore»
Venendo ai contenuti, è stata notata l'assenza di specifiche misure destinate al Mezzogiorno d'Italia. Ritiene che questo sbilanci la portata nazionale del programma?
«È davvero un fatto incomprensibile. In un accordo nel quale si parla dell'enogastronomia, del transhipment e dell'Istituto di credito sportivo, il Mezzogiorno è presente con una frase che non si sa se più misteriosa o più sgrammaticata: tutte le scelte politiche previste dal contratto sono orientate dalla convinzione verso (sic!) uno sviluppo economico omogeneo per il Paese, pur tenendo conto delle differenti esigenze territoriali con l'obiettivo di colmare il gap tra Nord e Sud. Che si deve capire? Il gap esiste, ma ce ne interesseremo parte per parte, non essendo problema unitario. Temo sia il frutto del compromesso e del taglia e cuci tra Lega e M5S, dai quali mi pare il Sud sia rimasto soccombente».
Quale è secondo lei il punto di equilibrio tra misure sociali ed economiche generali e le necessarie politiche specifiche per le aree più arretrate del Paese?
«La politica di sviluppo è diventata da qualche decennio politica di coesione, secondo un indirizzo europeo. Questo vuol dire che non c'è una zona territoriale definita. Secondo le norme nazionali esistenti, l'80 per cento degli interventi per la coesione vanno al Mezzogiorno. Ma anche questa percentuale non va presa alla lettera, come un criterio rigido, perché vi sono altri interventi e fondi (nazionali e regionali) che non sono canalizzati nelle procedure proprie della politica di coesione».