ROMA «Conte? Uno che ha fatto danni all'establishment». Così Luigi Di Maio presenta Giuseppe Conte che secondo lui sarà «sarà un premier politico di un governo politico, indicato da due forze politiche, con figure politiche al proprio interno». È lui il nome proposto a Sergio Mattarella dalla delegazione pentastellata e da quella leghista. Ma attenzione, il vero leader è il programma, dice poi Di Maio. Conte dovrà superare il vaglio del Quirinale. «Ma ha i requisiti per essere accettato», sottolinea il leader M5S. «Mi auguro che nei prossimi giorni, la prossima settimana si possa partire», ha detto. La prossima settimana sarà anche importante dal punto di vista dei contatti internazionali: Steve Bannon, l'ideologo del suprematismo bianco che ha portato Trump alla Casa Bianca sarà in Italia per incontrare Matteo Salvini.
Il Capo dello Stato ha deciso di non procedere subito con il conferimento dell'incarico ma di convocare al Quirinale per stamattina i presidenti di Camera e Senato, Roberto Fico ed Elisabetta Casellati. Il Presidente dunque frena l'entusiasmo profuso dai due partiti e si prende tempo.
Salvini trabocca di gioia. Sarà un governo «di speranza, di crescita e futuro. Al centro metterà gli italiani». All'estero «non hanno niente di cui preoccuparsi: il governo di cui faremo parte vuole far crescere e ripartire l'Italia, rispettando rispettando tutte le normative e i vincoli». Frasi fotocopia da parte di Di Maio: «A chi ci critica dall'estero dico: fateci partire prima. Poi ci criticate, ma almeno fateci partire». Poi per fare una diretta su Facebook il leader del Carroccio sale sul tetto di Montecitorio subito dopo aver parlato con il presidente e con i cronisti in piazza. Entrambi i leader riveleranno solo in piazza il nome di Conte, e non durante la rituale conferenza stampa. La disintermediazione è massima: il palazzo, che hanno conquistato, rimane nella loro narrazione un luogo opaco o comunque secondario. Ieri c'era persino chi notava la scomparsa di un sedile adiacente ai gruppi parlamentari dove in queste settimane i cronisti aspettavano i componenti del tavolo che ha stilato il contratto. «Perché va bene tutto, comunicare con il Quirinale e i giornalisti ma la mia testa è con voi, e voi insieme a me sarete i vigilantes, i controllori», dice Salvini guardando il telefonino con lo sfondo di tetti romani.
Quando Di Maio e Salvini sono usciti dalle consultazioni hanno magnificato il contratto di governo che offre ancora molti margini elettorali ma soprattutto fa emergere i ministeri che andranno all'uno e all'altro. Lavoro, Ambiente, rapporti con l'Europa, Scuola, Infrastrutture al Movimento. «Ci sono le Cinque stelle, e tante soluzioni alle sofferenze degli italiani», dice Di Maio. Mentre Interno, Sanità, e Difesa, Disabili e Famiglia, Salvini, li vorrebbe in quota Lega: «Senza un lavoro stabile non c'è prospettiva, famiglia, figli. Non è possibile che il 20% degli italiani usi psicofarmaci, spesso per mancanza di speranza, fiducia, prospettive», dice.
IL PARADOSSO
Conte è «un nome che può portare avanti il contratto di governo», spiega Di Maio che, prudente, non parla più di esecutore. Conte non ha mai avuto esperienze amministrative. Guido Crosetto, che era in pole per il dicastero della Difesa, è perentorio: «Non lo conosco, vedremo». Giorgia Meloni oggi riunirà i suoi dirigenti: i rapporti con Salvini sono piuttosto freddi: «Ha fatto tutto da solo», dicono. Anna Maria Bernini, capogruppo Fi, promette opposizione e svela il paradosso: Conte non è un politico a tutto tondo, ma un tecnico. E quindi è una scelta inaspettata perché è tutto quello che Lega e Movimento non volevano «dopo avere in passato fortemente stigmatizzato premiership tecniche modello Monti». «Qualora il Capo dello Stato nominasse presidente Conte, saremmo di fronte a un rispettabile tecnico, esecutore di un programma scritto da altri, che dovrà determinare l'azione di governo ed amministrativa di un esecutivo politico».
Il rinvio del Quirinale preoccupa la Lega e tra i 5Stelle ora tornano dubbi e paure
ROMA La sinergia istituzionale ma soprattutto la scoperta di essere più simili di quanto previsto. Pazzi per la piazza. Insieme, Salvini e Di Maio infatti concordano sul ritorno alle piazze, che in realtà non hanno mai davvero abbandonato. La piazza scelta ieri dal leader leghista è stato il tetto di Montecitorio. Ha girato un video con il telefonino, da lassù, per spiegare al suo popolo quello che sta facendo. E per dire, ecco il vero messaggio: «Non ci rinchiuderemo nei palazzi abbandonando il paese reale e staremo sempre in contatto con voi».
IL MOOD
È lo stesso mood di Di Maio. Anche su questo la cooperazione c'è e funziona. E sono uniti anche da una sottile irritazione per la sgridata che Mattarella ha rivolto loro nello studio alla vetrata: «Evitate per favore dichiarazioni forti che possono allarmare l'Europa e i mercati». Si sono sentiti trattati un po' da scolaretti. Nel caso della Lega, poi, il fatto che Mattarella abbia avviato delle post consultazioni con i presidenti delle camere, invece di accettare subito il nome di Conte è fonte di fastidio. «È una mossa inattesa e irrituale», dicono nel Carroccio. E c'è chi aggiunge: «Non sarebbe immaginabile che venisse obiettato qualcosa di negativo sulla persona che le nostre forze politiche hanno indicato congiuntamente».
«È tutto troppo istituzionale che si debba tenere sempre conto di tutte queste istituzioni europee, ma questi ci stanno sparando addosso!», dirà il capo politico M5S durante l'assemblea dei parlamentari dove ha ribadito l'importanza di rimanere uniti, di parlare «con una voce sola». Ma se si ritornerà in piazza, per chi rimarrà chiuso a Palazzo Chigi a lavorare saranno tempi difficili.
Nonostante, dice Di Maio, «noi stiamo parlando con la Lega solo da due settimane e oggi al presidente abbiamo fatto il nome di una persona che conosciamo bene». Nel faccia a faccia che hanno avuto i due prima di salire al Colle il puzzle dell'esecutivo era ancora aperto. Non c'è accordo su Paolo Savona e non c'è la questione sud nel contratto. Un bel paradosso se si conta che il Movimento ha fatto incetta di voti nel Meridione. La traduzione in prassi governativa perciò potrebbe non essere così agevole per Di Maio e i suoi. Se si aggiunge che al nord c'è il tacito riconoscimento della supremazia leghista, si capisce come nei prossimi giorni potrebbero manifestarsi tensioni tra i vertici e eletti ed elettori. In Valle d'Aosta il M5S non ha bucato: forte astensione e un risultato del 10%. Una brutta performance, simile a quella del Friuli Venezia Giulia. Per questo il senatore calabrese Nicola Morra che non è entrato nel totoministri ma ha un ruolo politico dentro l'associazione Rousseau ha ricordato ieri che i territori del sud non possono essere derubricati e che bisogna tornare a parlare di scuola. Anche la deputata Vittoria Casa avrebbe posto l'accento sul tema istruzione. Mentre il senatore M5S Elio Lannutti non approva la squadra di governo che si sta formando. «Cambiamento o restaurazione ? Leggo nomi estranei a principi e valori del M5S. Spero di sbagliarmi, ma se così fosse, sarebbe una tragedia e un tradimento», protesta su Facebook.
MAGGIORANZA
La Lega invece ha una compattezza da partito leninista. Forza Italia fa girare la voce di malcontenti interni e parla della possibilità che il Carroccio possa sfilarsi. I leghisti negano e il loro leader ha visto Giorgia Meloni. Vorrebbe coinvolgerla nella maggioranza, temendo che con soli sei voti in più al Senato si balli troppo. Ma la Meloni ha redarguito Matteo dicendo: «Hai indebolito il centrodestra, ti sei isolato e fai da traino ai Cinquestelle e vorresti pure che noi ti seguissimo su un programma che non abbiamo scritto?» . FdI non vogliono essere annessi a un'operazione che non è la loro.