L'AQUILA Come era nelle attese, vista l'assenza dei tre storici dissidenti, Di Matteo, Gerosolimo e Olivieri, la mozione di sfiducia presentata da una parte dell'opposizione (Forza Italia e Cinque Stelle) nei confronti del governatore Luciano D'Alfonso non è passata: 15 voti contrari, 10 a favore, astenuto lo stesso presidente. Il clima è stato in ogni caso quello da ultimo giorno di scuola: con l'avvio della legislatura nazionale, ormai alle porte, D'Alfonso eserciterà la sua opzione per il Senato e, dunque, la Regione tornerà al voto, molto probabilmente in autunno. La seduta, per queste ragioni, si è trasformata in un lungo dibattito sull'operato dell'Esecutivo, spezzato solo dal vivacissimo battibecco tra Leandro Bracco e Mauro Febbo, a colpi di «fascista, camerata, Salò e Predappio» (Bracco) ed «riecco il Braccobaldo show» (Febbo). Il presidente dell'assise, Giuseppe Di Pangrazio, ha dovuto evocare l'allontanamento per sedare gli animi.
Dopo che il Consiglio aveva stabilito di non sollevare la questione di incompatibilità nella precedente seduta, D'Alfonso ha dunque superato anche questo passaggio, da lui stesso definito «traumatico nei rapporti tra maggioranza e opposizione». Ha difeso i risultati raggiunti, citando il superamento del commissariamento, l'allineamento dei documenti contabili, la creazione di Tua, la Zes, il masterplan, i contratti di sviluppo. Poi ha ribadito, sull'incompatibilità, che «non è un disvalore perché non vi è un conflitto di interessi e non c'è un di meno per la comunità regionale». A difenderlo, per così dire, è stato il solo Maurizio Di Nicola, che prima ha stigmatizzato «l'eccesso di patos» e le «chiacchiere da bar», poi, come nella peggiore delle tradizioni, ha attaccato la stampa «che non studia e si abbandona agli slogan». Di alto livello l'intervento dell'assessore Silvio Paolucci, che ha respinto la «fandonia dei cento milioni di debiti delle Asl» e poi ha richiamato tutti alla sobrietà: «Ho sentito parlare di sequestro istituzionale, le parole sono come pietre, si trasformeranno poi in arroganza».
Ovviamente il fronte delle opposizioni ci è andato molto duro. Sospiri (Forza Italia) ha definito «folle» il voto sull'incompatibilità: «Sarete ricordati per quelli attaccati alla poltrona che hanno mortificato la Costituzione». Sara Marcozzi (5Stelle) ha battuto sul «totale fallimento» di D'Alfonso, sulla «manifesta incapacità», sulla «maggioranza asservita alla carriera di D'Alfonso»; il collega Pettinari ha attaccato «l'incoerenza dei dissidenti che anziché metterci la faccia e votare contro non sono venuti». Bracco ha paragonato D'Alfonso a Berlusconi e Andreotti. Ranieri, Cinque Stelle, ha fatto un ironico apparentemente a favore di D'Alfonso («Manterrà le aspettative nel non raggiungere alcun risultato, diamogli fiducia»), uscendo dall'aula al momento del voto. Infine Mazzocca, come la Sclocco di Leu, la cui base voleva staccare la spina: in tono accalorato ha difeso i risultati raggiunti, «non paragonabili al passato» e poi ha votato «convintamente contro» la sfiducia.