ROMA La Lega blinda Paolo Savona al Tesoro fino al punto di far fare capolino all'ipotesi del voto anticipato ed è muro contro muro con il Colle. Una situazione molto delicata che stringe il premier incaricato, Giuseppe Conte, nella morsa tra i partiti della sua maggioranza e il Presidente della Repubblica. Quando già si diffondevano i rumors sul calendario dell'eventuale giuramento, lo strappo sul titolare all'Economia provoca un'inevitabile allungamento dei tempi e anche ipotesi di una clamorosa rottura.
Neanche un lungo faccia a faccia informale chiesto da Conte al Capo dello Stato (oltre un'ora e mezza) ha sciolto la tensione. Da un lato il Colle conferma con decisione le sue riserve su Savona, dall'altro Matteo Salvini che specularmente non cede di un centimetro, con il sostegno M5S. «La Lega - fanno sapere fonti del Carroccio - ha preso precisi impegni con gli italiani su tasse, Europa, giustizia, pensioni,non prendiamo in giro nessuno. Non andiamo a Bruxelles con il cappello in mano». Un modo per ribadire il concetto che Salvini ripete da giorni come un mantra: o questo governo cambia le cose o meglio andare al voto.
VERTICI ISTITUZIONALI
E dire che Conte ce la sta mettendo tutta per concludere positivamente il suo incarico: di prima mattina si è recato a Palazzo Koch per incontrare il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. Poi, alla Camera, un vertice con Luigi Di Maio e Salvini. Di Maio cerca di smorzare la tensione: «L'incontro è andato molto bene».
Dribbla ogni domanda su Savona, però: «Non voglio parlare di nomi. Di questo - commenta sintetico - ne devono parlare il presidente della Repubblica e Conte». Salvini invece vola a Milano per il compleanno della figlia, spiega. È il segnale che per lui il tempo della trattativa a Roma è ormai scaduto, la parola tocca ora al Capo dello Stato. Quindi ribadisce la sua netta determinazione a spingere su Savona sino alla fine, a ogni costo: se non ci sarà lui nella compagine di governo - informano fonti a lui vicine - non ci sarà nemmeno il governo stesso. In serata, su Facebook conferma la sua grande irritazione: «Sono molto arrabbiato». E Di Maio posta il suo like.
Il muro del Quirinale: in gioco c'è l'istituzione
ROMA Paolo Savona, ministro dell'Economia, al Quirinale non passa. E, per come l'ha messa Matteo Salvini, la questione è ormai divenuta di principio. Può un leader di partito imporre il nome di un ministro al premier incaricato e al presidente della Repubblica? La domanda, in un'esame di diritto Costituzionale, permetterebbe anche a mediocri studenti di cavarsela facilmente sciorinando l'articolo 92 della Carta.
Peggio ancora se - si ragionava ieri al Colle - calpestando ripetutamente e in maniera di sfida prerogative che la Costituzione assegna al presidente del Consiglio incaricato e al Capo dello Stato, si vuol creare un precedente tale da derubricare figura e peso dell'attuale Capo dello Stato, così come dei suo successori. Tutto dopo aver stravolto le procedure per la formazione di un governo affidato solo ora ad un avvocato indicato come possibile premier e al quale si pensa di imporre i nomi dei ministri.
IL PUNTO
Se così è, e così lo interpretavano ieri al Quirinale, Paolo Savona, l'economista antieuro che paragona la ricetta economico-politica della Germania al progetto del ministro dell'Economia del Terzo Reich, molto difficilmente sarà il successore di Pier Carlo Padoan. Ieri pomeriggio ragionamenti simili se li è sentiti ripetere Giuseppe Conte che da buon giurista, ha colto ogni sfumatura dei ragionamento di Mattarella. Un no a Savona che risente anche delle fortissime perplessità di Mario Draghi, numero uno della Bce, e dell'attuale governatore di Bankitalia che Conte ha incontrato in mattinata. Dopo una giornata spesa per cercare una via d'uscita il presidente del Consiglio incaricato arriva in serata al Quirinale per fare il punto con il Capo dello Stato sulla lista dei ministri raccontando le rigidità mostrare in mattinata da Salvini durante il vertice con Di Maio. Salvini ripete a Conte che sulla nomina di Savona a ministro dell'Economia non intende mollare. Di Maio, da sempre più attento ai rapporti con Mattarella, è costretto a far muro con l'alleato che minaccia di far saltare tutto e di portare il Paese al voto in autunno. I tentativi di Conte di ipotizzare alternative vanno a vuoto. Compresa l'idea di mettere Di Maio al Tesoro e Savona al super ministero che dovrebbe nascere da una sorte di fusione tra Lavoro e Sviluppo Economico. La Lega non ci sta e non fa nomi diversi da Savona. Tantomeno gioca la carta Giancarlo Giorgetti - numero due del Carroccio - che risolverebbe il problema, ma che Salvini non intende prendere in esame. Quando Conte rientra a Montecitorio il barometro del nascente governo segna tempesta. Conte ha ridottissimi margini di mediazione e lo scambio di mi piace tra Di Maio e Salvini ad un post dal titolo sono arrabbiato, cementa la maggioranza che dovrebbe sostenere l'esecutivo.
Stretto nella morsa, il premier incaricato fa quel che può, consapevole del rischio di un possibile precipitare del Paese verso il voto dopo oltre ottanta giorni di trattative. Ma poichè anche la finestra elettorale estiva si è chiusa, di urne anticipate non se ne parla sino a settembre con il rischio che a pagare l'eventuale fallimento siano proprio i due partiti che più di tutti hanno trattato in queste settimane. Di Maio non vuole le elezioni, e lo si è compreso in questi giorni quando ha ceduto a quasi tutte le richieste della Lega.
Salvini continua a sostenere di avere non solo l'opzione del governo ma anche quella del voto. I sondaggi danno infatti ragione al leader del Carroccio che comunque - in caso di fallimento - dovrà spiegare perché il governo del cambiamento è saltato ad un passo dal traguardo. Bocciare in aula un governo sostenendo che Savona avrebbe fatto meglio di Giorgetti o di un altro, potrebbe non essere facile anche usando la ruspa. Resta il fatto che da ieri sera la legislatura è tornata in bilico con il Quirinale impegnato a difendere le prerogative sue e di un presidente del Consiglio ancora troppo fragile per poter alzare la voce. In forte difficoltà è anche Di Maio. Malgrado il 32%, il leader pentastellato è in balia dell'alleato leghista al quale ha concesso i ministeri (Interni e Economia) che contengono gli argomenti che più portano fortuna alla propaganda leghista. Con lo spread oltre quota duecento e le agenzie di rating pronta a bollare come spazzatura i nostri titoli di Stato, Mattarella ha poco da concedere alla fantasia dei due leader e ad un economista particolarmente affezionato ai suoi studi.
GLI ALTRI
Ministero dell'Economia a parte anche su altre caselle del governo non si è andati ancora a dama. Alla Farnesina, tramontato Massolo, restano in pole position Pasquale Salzano, ambasciatore a Doha apprezzato ai piani alti del ministero, e Luca Giansanti, già direttore generale del ministero. Alla Difesa per il momento resiste Emanuela Trenta così come alla Giustizia Alfonso Bonafede. Al M5S vanno anche Cultura (Carelli), Istruzione (il preside Giuliano) e rapporti con il Parlamento (Fraccaro). Alla Lega, oltre all'Interno (Salvini), andranno Agricoltura (Molteni), Turismo-Affari Regionali (Centinaio), il ministero alla Famiglia (Arianna Lazzarini).