La prima a esporsi in prima persona e a evocare esplicitamente la messa in stato d'accusa del capo dello Stato, altrimenti volgarizzata e inglesizzata col termine impeachment, è Giorgia Meloni leader di Fratelli d'Italia, «se è vero il veto su Paolo Savona». A ruota un deputato del Movimento 5Stelle in un post su facebook: Carlo Sibilia, già componente del direttorio grillino. Ma la voce dell'iniziativa più contundente possibile nei confronti del Presidente era già diffusa e sussurrata, come minaccia, tra i 5S dopo il drammatico annuncio di Mattarella e la rinuncia del premier incaricato. E ecco subito schierarsi le forze pro, contro e di lato rispetto all'affondo grillino e di Fdi. Matteo Salvini non cavalca la richiesta nonostante Di Maio lo incalzi («la Lega non può tirarsi indietro») e dice che non ne parla «adesso perché troppo incazzato». Berlusconi, invece, accantona ogni dubbio e difende da Arcore il presidente, anzi ne «rispetta» la scelta, e taccia come «irresponsabili» quanti brandiscono l'arma del procedimento penale davanti alla Corte Costituzionale dell'inquilino del Colle. In sintonia, Berlusconi, con il Pd, che è tutto una dichiarazione corale di «solidarietà» a Mattarella, con l'annuncio perfino di «iniziative straordinarie» per fare da scudo al Colle e alla Costituzione. E, certo, di precedenti tentativi di impeachment in Italia non ce ne sono stati tanti, e nessuno ha portato davvero alla messa in stato d'accusa.
MODELLO BRITISH
Se n'è parlato per Giovanni Leone, Oscar Luigi Scalfaro, Giorgio Napolitano. Vale ricordare che la procedura non nasce in Italia. È anglosassone. William, 4° barone di Latimer e ministro di Eduardo III, ne fu la prima vittima, per tangenti nel rilascio di navi catturate alla Marina Reale. Era il 1376. Nel 1787 i Padri fondatori lo regolamentarono nella Costituzione degli Stati Uniti. Nixon lo evitò nel 1973, dopo l'esplosione del Watergate, dimettendosi. Clinton, nel mezzo dello scandalo sessuale, venne prima messo in stato d'accusa e poi assolto, al Senato, non per avere avuto rapporti con Monica Lewinsky ma per aver negato di averli avuti davanti agli americani. Per aver mentito.
ANTELOPE COBBLER
In Italia il primo a cadere sotto i colpi delle minacce di impeachment è stato Giovanni Leone, bersaglio di una campagna mediatica devastante partita da un libro della giornalista Camilla Cederna, «G. Leone: la carriera di un presidente» (in quella occasione la Corte Costituzionale operò comunque nei confronti dei ministri coinvolti nello scandalo Lockheed, mentre oggi i ministri sono processati da giudici ordinari). Alla fine Leone fu scagionato dall'accusa di essere lui l'Antelope Cobbler. Drammatica la richiesta di impeachment verso Francesco Cossiga da parte del Pds di Occhetto. Una vicenda che secondo Amato turbò per sempre il Picconatore che credeva di avere, lui cugino di Berlinguer, un rapporto speciale con gli eredi del Pci. Gli si imputavano i colpi di piccone alla Carta costituzionale ma anche il suo ruolo nella creazione e protezione della rete di difesa nazionale anti-comunista Gladio ai tempi della guerra fredda. Tra i firmatari pure Violante e Pannella. Fu difeso da Giorgio Napolitano, il Re Giorgio che a sua volta sarebbe stato minacciato da Grillo. Qualcuno arrivò a proporre di internare Cossiga in una casa di cura. Lui replicava: «Io non sono matto. Io faccio il matto, è diverso». E nel messaggio di fine anno del 1990 tirò fuori dalla tasca un foglietto che lesse, riferendosi ai gladiatori: «Un saluto riconoscente ai patrioti brava gente». Nel 1991, infine, si autodenunciò per cospirazione politica. Una sfida aperta ai partiti. Con dieci settimane d'anticipò lasciò il Colle, prima che si arrivasse al voto sull'impeachment.
Tra quelli che più duramente lo avevano attaccato Oscar Luigi Scalfaro, che gli subentrò al Quirinale e contro il quale, dalle fila di Forza Italia, partirono negli anni svariate accuse. Il 3 novembre 1993, Scalfaro pronunciò il famoso «Non ci sto», respingendo i sospetti sull'uso di fondi neri da ministro dell'Interno. E parlò di «gioco al massacro». Ma l'accusa di alto tradimento e attentato alla Costituzione era più politica e si riferiva al ribaltone dopo la caduta del primo governo Berlusconi e la nascita del governo Dini. Del resto, alla nascita del primo Berlusconi, Scalfaro aveva posto paletti precisi. Anche qui, nulla di fatto. Arriviamo così a Napolitano sulla graticola di Grillo e dei berlusconiani per aver tramato a favore del governo Monti.
Berlusconi con il Colle: irresponsabili Ora la missione è recuperare la Lega
ROMA Il sospiro di sollievo, la sua prima reazione. L'idea di un governo che avesse due esponenti di spicco del M5s, lo stesso Di Maio e Bonafede, ad occuparsi di due argomenti per lui sensibili come Comunicazioni e Giustizia, lo stava inquietando non poco.
Ma è la difesa di Sergio Mattarella, il no a quell'ipotesi di impeachment su cui invece si potrebbero ritrovare sia Matteo Salvini che Giorgia Meloni, la linea di confine su cui Silvio Berlusconi colloca le truppe di Forza Italia subito dopo il fallimento del tentativo del governo Conte. «Prendiamo atto con rispetto delle decisioni del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e osserviamo con preoccupazione l'evolversi della situazione politica».
Soprattutto, l'ex premier sembra dare forza alle motivazioni con cui il capo dello Stato si è opposto alla nomina di Paolo Savona come ministro dell'Economia. «In un momento come questo il primo dovere di tutti e difendere il risparmio degli italiani, salvaguardando le famiglie e le imprese del nostro Paese».
La parola d'ordine, tuttavia, resta sempre quella di attaccare i grillini, senza toccare gli alleati. «Il movimento Cinquestelle che parla di impeachment è come sempre irresponsabile». Mentre verso il capo dello Stato si aizzava la grancassa di M5s e Lega, infatti, da Arcore sarebbe partita una telefonata di solidarietà in direzione del Quirinale.
GOVERNO DEL PRESIDENTE
Berlusconi, però, al momento non si sbilancia sulla possibilità che gli azzurri sostengano il governo del presidente che potrebbe vedere la luce nelle prossime ore, dopo la convocazione di Carlo Cottarelli al Colle. Perché il tentativo è quello di mantenere un difficile equilibrismo che consenta di tenere ancora in piedi l'alleanza di centrodestra. Per questo, si evita qualsiasi attacco a Matteo Salvini. E questo sebbene, nello scorrere la lista dei potenziali ministri giallo-verdi, Berlusconi si sia reso conto che le rassicurazioni avute dall'alleato nell'ultimo faccia a faccia alla Camera, fossero del tutto aleatorie.
A differenza del leader della Lega, il presidente di Fi non ha fretta di andare a votare, sebbene sia convinto che la sua riabilitazione, e dunque la sua candidabilità, potrebbero consentire a Forza Italia di tenere il passo con quello che sembra ora lo strapotere leghista. Ma sa che da ieri questa ipotesi è più probabile. «Forza Italia attende le determinazioni del Capo dello Stato, ma ove necessario sarà pronta al voto».
D'altra parte, resta il timore che l'asse giallo-verde vada oltre l'esperimento fallito del governo e si concretizzi, anche alle Politiche, in un'intesa sui territori, magari basata su una reciproca desistenza. Ma un altro tema condizionerà il fragile equilibrio su cui si regge l'alleanza di centrodestra: il rapporto con l'Europa, su cui l'alleanza già aveva trovato una difficile sintesi. Salvini potrebbe polarizzare la campagna elettorale su questo discrimine, mentre Berlusconi da tempo si è accreditato come garante con gli amici del Ppe.