Ha deciso di osservare un minuto di religioso silenzio. Anche più di un minuto, visto che erano passate solo 24 ore da quando aveva dichiarato ai giornali locali che stava preparando gli scatoloni e che si sentiva già solo e soltanto senatore, che ecco che succede il capitombolo: niente più governo, Conte rinuncia, Mattarella dà l’incarico a Cottarelli e adesso è chiaro che si voterà molto presto, senza la fiducia anche subito dopo l’estate. Insomma, il presidente-senatore Luciano D’Alfonso si è portato sfortuna da solo e probabilmente resterà ancora a lungo col piede in due staffe ma paradossalmente per lui il problema non si pone.
In questi giorni resterà ben saldo alla Regione, poi si farà un po’ di Senato e poi quasi sicuramente sarà ricandidato. Magari Martina non ce lo vorrebbe ma tanto si sa, dietro di lui a decidere c’è sempre e solo Renzi. Il problema semmai riguarda tutti gli altri, quelli che quasi sicuramente non saranno ricandidati. E infatti la domanda che più tormenta le notti di tanti neo parlamentari non è manco quella sulla ri-candidatura alle prossime elezioni, ma addirittura sulla possibilità di essere rieletti.
Già traballanti lo scorso 4 marzo, adesso, con gli scenari aperti dalla mossa di Mattarella, Pd e Forza Italia rischiano di rimanere al palo, mentre Lega e Cinquestelle vengono proiettati verso l’en-plein.
Quindi a rimetterci la poltrona potrebbero essere, quasi sicuramente, i vari Camillo D’Alessandro (che già aveva strappato la candidatura per il rotto della cuffia grazie alla gentile intercessione di Dalfy, che questa volta deve pensare a blindarsi in proprio), Stefania Pezzopane e nel centrodestra Nazario Pagano e Antonio Martino che i boatos danno già in conflitto, ma soprattutto Gaetano Quagliariello e Gianfranco Rotondi.
Insomma, oltre alle scosse dei mercati, ora si rischia la scossa dei peones.
In Abruzzo quindi questa delicatissima stagione si apre con un’ incognita: chi gestirà le nuove candidature, in casa Pd soprattutto?
Una settimana fa dall’Aquila è arrivato uno stop netto: l’assemblea provinciale del Pd ha votato un documento per dire che è “inaccettabile che gli organismi regionali siano latitanti” (il segretario regionale Marco Rapino è riemerso e ha scritto qualcosa su Facebook dopo mesi soltanto domenica sera, quando Mattarella ha mandato a casa Lega e 5 stelle) e per chiedere la convocazione di un’assemblea regionale per aprire “una nuova fase di gestione collegiale che ci accompagni nel percorso di fine legislatura”. Certo, una settimana fa sembrava che il Pd dovesse imboccare la strada dell’opposizione al governo Conte e quindi dall’Aquila si chiedeva un segnale di discontinuità, di svolta. Insomma, chiarezza: “Fino a quando non saranno chiarite linea politica e gestione del livello regionale – concludeva il documento – non saremo in condizione di avviare la nuova fase, da più parti invocata, e qualcuno, ancora una volta, dovrà assumersi la responsabilità di ulteriori conseguenze politiche ed elettorali”.
A stretto giro il Pd ha risposto convocando la direzione regionale per il prossimo 4 giugno alle 16.30 a Pescara. Era prima della crisi e di Cottarelli, ma gli aquilani, con a capo Michele Fina, Pietro Di Stefano e Americo Di Benedetto, erano pronti ad andare alla conta. Adesso sarà molto più difficile strappare la segreteria a Rapino: l’interesse di Dalfy & c. è quello di lasciare in sella al partito un uomo che faccia i loro interessi abbastanza supinamente. La partita da giocare è grossa, e riguarda proprio le prossime candidature: al Parlamento e alla Regione. Anche perché, ormai è chiaro, almeno due pezzi grossi del partito rischiano di rimanere a piedi, senza poltrona a Roma e senza poltrona in Abruzzo: D’Alessandro e Pezzopane, per loro partita difficilissima.
ps: anzi, quasi impossibile