PESCARA In due anni e mezzo, durante la sua esperienza regionale, avrebbe sentito parlare per la prima volta di carta del pericolo valanghe solo il giorno della tragedia di Rigopiano, il 18 gennaio 2017. Così come in bilancio, nel capitolo prevenzione, c'erano zero euro. Non dipendeva però da lei decidere le risorse economiche: toccava alla politica farlo, ma sulle valanghe la politica non ha mai messo soldi. Questo, in sintesi, avrebbe spiegato in procura l'ex direttore generale della Regione. Alle 18,30 di giovedì scorso, Cristina Gerardis è uscita dalla stanza del magistrato accompagnata dall'avvocato Giulio Di Berardino. L'ex dg si è presentata dai pm di Pescara che indagano sulle responsabilità della tragedia di Rigopiano per fare dichiarazioni spontanee. Indagata insieme ad altre 34 persone, tra cui spicca il governatore-senatore, Luciano D'Alfonso, Gerardis ha parlato per ore in procura. Ma al telefono è laconica: «Preferisco che non si dica nulla». E saluta cordialmente. Nel lungo dialogo con l'inquirente, l'ex dg ha però puntualizzato i ruoli: quale confine divide, in Regione, le competenze dei politici da quelle dei tecnici. A differenza di altri dirigenti indagati, non si è avvalsa della facoltà di non rispondere ma ha spiegato i meccanismi della pubblica amministrazione, in particolare i compiti del direttore generale che è di verificare che si portino a termine gli obiettivi. Ma il fatto che una cosa si faccia o no dipende dai capi di dipartimento su indicazione della politica, che mette i soldi in bilancio, e non dal dg. Tirata in ballo dal governatore D'Alfonso, con una memoria normativa presentata in procura l'8 maggio, l'ex direttore generale avrebbe chiarito tutto in modo circostanziato. All'Ansa, Gerardis non aveva usato mezzi termini definendo uno "scaricabarile" quella memoria-denuncia firmata dal presidente della Regione. Di "scaricabile" avrebbe parlato anche in procura. A D'Alfonso che, prima di sapere di essere indagato, ha informato i magistrati di una riunione di maggio 2015 in cui l'allora dg avrebbe dovuto proporre la carta del pericolo valanghe, Gerardis avrebbe ribattuto spiegando ai pm che si trattava di una conferenza di direttori, come tante altre alle quali peraltro partecipava anche D'Alfonso, in cui lei non avrebbe mai potuto proporre il tema delle valanghe per un motivo sostanziale. Quale?In Regione non si sarebbe mai parlato di questo pericolo, almeno nessun capo di dipartimento lo ha mai fatto con lei. Per di più, gli uffici predisposti alla creazione della carta del pericolo valanghe sarebbero stati "svuotati" fino a pochi giorni dopo la tragedia quando Sabatino Belmaggio è stato riportato al suo posto per volere del presidente D'Alfonso e dell'allora direttore del dipartimento risorse (che ora non risulta indagato). Questa è la sua versione.
Lo sfogo del Governatore «Mi fa male essere associato alla cultura della morte»
PESCARA Al cronista che gli «Mi fa male essere associato alla cultura della morte» chiede "rinuncerebbe alla politica?" Luciano D'Alfonso risponde così: «Mah! Sono tanti anni che mi dedico alla politica ma l'ultima vicenda, quella riguardante la contestazione di Rigopiano, mi ha fatto molto male perché ho dedicato molto del mio tempo alla cultura della vita. Essere associato alla cultura della morte mi ha fatto molto male e non vedo l'ora di trovarmi gli interlocutori davanti, coloro i quali devono stabilire chi si è comportato bene e chi no, e sentirete quello che dirò». Così ha detto ieri mattina il presidente della Regione e senatore della Repubblica in merito all'inchiesta sulla tragedia di Rigopiano in cui è indagato con altre 34 persone. Ma D'Alfonso ha risposto anche ad altre domande.
L'UOMO NERO. In merito alla polemica sul presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di Lega e M5S, per la nomina dell'economista Paolo Savona a ministro, il governatore è stato caustico: «Io vedo molta irresponsabilità. Vedo la cancellazione di ogni limite. Se si andrà avanti di questo passo», ha affermato, «prima o poi arriverà l'uomo nero. Quando si rompono le regole, quando si determina la crisi che attacca l'Ordinamento, e la Presidenza della Repubblica è un punto di garanzia per la vita delle nostre istituzioni e per l'unità nazionale, io vedo che è partito un gioco alla distruzione anche delle istituzioni che più garantiscono e più ci tutelano. Sono molto preoccupato e spero che si determini di nuovo una condizione di pubblica opinione capace di stabilire chi sbaglia e chi indovina».
FARÒ DI TUTTO. Il suo giudizio di Mattarella di conseguenza non può che essere questo: «Personalmente ho molta fiducia nella condotta avuta e che avrà Mattarella e farò l'impossibile, nel mio ruolo, di supportare il valore della condotta del presidente della Repubblica».
RESTO, E' SCONTATO. Infine sulla scelta di restare in Regione o di optare per il Senato, gli eventi delle ultime ore spingono D'Alfonso a una risposta scontata: «Credo che mi stiano risolvendo il problema da Roma. Finora sono stato in Senato quattro volte, ma dalla stampa che ho letto di ieri e di oggi mi dicono che la legislatura sia finita. Non ho fatto neanche a tempo a comunicare le mie intenzioni. Se resto presidente fino alla scadenza di mandato? Su questo voglio capire con esattezza quello che accadrà domani in Senato (...) So anche che siamo in attesa di una comunicazione nazionale che ci dica quale sarà il giorno di scioglimento delle Camere. Per cui tutto questo condiziona anche il mio cammino dal punto di vista istituzionale».
MI METTEREI A STUDIARE. Quindi la domanda finale: rinuncerebbe alla politica?«Non faccio parte di me stesso», la risposta di Luciano D'Alfonso, «ma di una comunità politica. Se dipendesse da me però mi metterei a studiare per capire quello che sta accadendo e perché sta accadendo. Per il resto farò quello che mi chiedono».