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Data: 31/05/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Sfida tra Luigi e Matteo: cerino in mano alla Lega

ROMA Una girandola di telefonate e incontri informali. Al Quirinale ieri era un via-vai di auto che entravano ed uscivano mentre Matteo Salvini, divenuto il vero punto di snodo di una crisi che agita i mercati, continuava a Genova la sua lunghissima campagna elettorale. A Roma il leader della Lega lascia Giancarlo Giorgetti. Il numero due della Lega, che entra ed esce come possibile premier o ministro dell'Economia, svolge il ruolo di poliziotto buono che parla con tutti, tiene a bada quelli che nel partito cominciano a non capire e non manca di intavolare accese discussione con il capitano sull'opportunità di lasciare il Paese appeso ancora per qualche altro mese mentre anche la base delle partite iva borbotta.
IL RESTO
Il leader del Carroccio, tra bluff e rilanci, però non sembra disposto a mollare e per qualcuno sta portando tutti all'obiettivo che aveva in testa dal 4 marzo: il voto. Nel sacco è caduto mani e piedi Luigi Di Maio che cerca in tutti i modi di far partire la legislatura e il governo giallo-verde anche a costo di cospargersi il capo di cenere e chiedere udienza a colui che solo qualche giorno fa aveva accusato di golpismo. Non è certo questo il momento per risentimenti, e così quando nel pomeriggio Di Maio sale al Quirinale, per il M5S il professor Savona non esiste più nella casella di via XX Settembre. Ma la presenza del professor antieuro nel governo viene considerato nella Lega «il piede di porco» per far saltare la legislatura lanciare l'opa definitiva su tutto il centrodestra.
E' per questo che al «ci penserò» di Salvini ieri sera credevano in pochi. Prendere tempo, solo qualche altro giorno, potrebbe servire al leghista per dire poi no avendo chiuso anche la finestra elettorale di luglio lasciando al premier Cottarelli il compito poi di spostare le urne a settembre. «Ma perchè devo far nascere un governo zoppo? Savona - sosteneva ieri Salvini - rappresentava per tutti una garanzia per l'attuazione del programma. Ma perchè dovrei rinunciarci solo per levare le castagne dal fuoco a Mattarella? E chi ci metto?». A Giorgetti non pensa proprio Salvini, ma per il Quirinale Savona è ormai simbolo di un programma - l'uscita dell'Italia dall'euro - che i mercati ci farebbero pagare.
Ciò che però comincia a preoccupare Salvini è il rischio di restare con il cerino della legislatura in mano dopo che anche il M5S si è sfilato dal muro pro-Savona. Ciò che potrebbe far riflettere Salvini è solo il rischio di un capovolgimento della narrazione sviluppata sinora. Infatti quel «non ci permettono di governare», «non vogliono che andiamo a palazzo Chigi», che il leader della Lega continua a sostenere in ogni piazza, da ieri deve fare i conti con il rifiuto che lo stesso leader della Lega ha opposto all'offerta di Di Maio di mettere un suo uomo, Giorgetti, a palazzo Chigi. Di Maio lo ha raccontato ieri sera nell'assemblea dei gruppi del M5S e prima al Quirinale. «Sono veramente incazzato con Matteo», ha sostenuto il leader grillino che forse solo da qualche giorno ha capito che, come dice Pier Ferdinando Casini, «Salvini ha giocato con Di Maio come il gatto col topo». Nella parte del topo il leader pentastellato ha dovuto ieri sera affrontare un non facile confronto con i suoi parlamentari che, dopo novanta giorni, è più probabile che li porti nuovamente al voto che al governo. D'altra parte nella trappola di Salvini è caduto anche Beppe Grillo che solo poco tempo fa sosteneva di sapere che «Salvini è uno che quando dice una cosa poi la mantiene e questa è una cosa rara».
Ieri qualche dubbio, raccontano, sembra sia venuto sia al comico genovese, che a Di Maio e persino a Davide Casaleggio che sulla linea dell'intesa a tutti i costi per fare un governo ha impegnato tutto il capitale elettorale del movimento.
La richiesta a Savona di farsi da parte della pentastellata Giulia Grillo - oltre a suonare paradossale visto che solo pochi giorni fa sul nome del professore il M5S ha ingaggiato una gazzara nelle piazze - si scontra con il carattere dell'interessato. Il professore difficilmente mollerà senza il via libera di Salvini o accetterà l'incarico in un altro ministero come vorrebbe Di Maio. Tra i due leader, dopo settimane di reciproci complimenti è calato il gelo e ciò rende ancor più complicata l'eventuale intesa così come un problema rischia di diventare il clima teso che si respira nel M5S.
I VOTI
Sullo sfondo, ma neppure tanto, resta il lavoro del premier incaricato Carlo Cottarelli che ieri per due volte ha incontrato il Capo dello Stato. In attesa che i partiti consumino le ultime sceneggiate, Cottarelli tiene in caldo la lista dei ministri, pronto a presentare il suo governo che, potrebbe incassare una fiducia tecnica - con pochi voti e molte astensioni - per poi portare il Paese al voto. Quando? Il calendario dice il 29 luglio o il 6 agosto. A meno che il Parlamento non allunghi i tempi della campagna elettorale per votare a settembre, come vorrebbe Salvini che teme il voto in estate quando le fabbriche chiudono e il Nord va in vacanza. Nel frattempo a palazzo Chigi Gentiloni continua a ritoccare il documento di passaggio del testimone al nuovo premier. Amesso che ci sia.

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