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Pescara, 24/07/2024
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Data: 31/05/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
«Se si vota ci asfaltano ti sei fatto fregare» M5S, processo a Luigi. Giorgetti pressa Salvini Lui: no ai ricatti tedeschi

ROMA Una corrida, e tutti a infilzare Di Maio. Un processo, e tutti ad accusare lui. Ecco l'assemblea dei parlamentari cinque stelle, fiaccati da quasi novanta giorni di crisi, sfiduciati rispetto alle qualità del leader - «Ti sei fatto fregare da Salvini», «Sei caduto nel trappolone della Lega», «Se ci porti a votare, quelli ci asfaltano» - e questo, Montecitorio, poco prima di cena, è il luogo dell'esplosione di tutti i malumori e le paure e della vera e propria rivolta contro gli errori attribuiti al leader. Tre ore e mezza di passione, e nessuno prova a nascondere - agli occhi di Di Maio, il bersaglio, il colpevole - quanto bruciano nel corpaccione dei gruppi di Camera Senato le ferite di questo passaggio che sembra portare al baratro. Il terrore di andare a votare e, appunto, di essere asfaltati in queste condizioni in cui - ripetono in tanti - «Salvini ci ha surclassato in tutto e noi siamo stati subalterni a un partito che ha la metà dei nostri voti. Non credi di aver sbagliato qualcosa, Luigi?». Il leader prova a difendersi. Quasi balbetta: «Può darsi che scopriremo che tutti quelli con cui abbiamo avuto a che fare ci hanno fregato. Ma io preferisco passare per brava persona che per furbo».
Il suo problema però, a questo punto, non è tanto Salvini, quanto il movimento che - proprio mentre lui crede di aver fatto l'offerta giusta al Capo dello Stato e al leader lumbard - sta saltando di suo e sta saltandogli addosso. Di Maio ammette che è «molto arrabbiato» con Salvini per tutto il suo comportamento non limpido e diretto in realtà, fin dall'inizio, al voto ad ottobre. Che è il vero baratro per tutti i presenti. E molti di questi al prossimo giro non ci saranno. Paola Taverna come al solito è molto diretta. Si alza e punta il dito: «Luigi, devi ascoltare di più». E questa è l'accusa assai condivisa: «Non sai fare condivisione», dicono al leader. «Noi abbiamo appreso le cose dalle agenzie di stampa, mai una volta che tu abbia chiesto il nostro parere. E questi sono i risultati...».
FENDENTI
C'è chi gli imputa di aver ceduto sul veto posto dal Quirinale su Savona. Lui ribatte che non c'era altra scelta. E molti gli attribuiscono l'intenzione di volere andare al voto già a luglio, perché le urne d'estate lo tutelerebbero. Mentre le elezioni in autunno (o, peggio, ancor più in là) potrebbero giustificare con minor forza la deroga al doppio mandato e rischierebbero di veder affievolire la sua leadership. Con, all'orizzonte, il ritorno dall'America del Dibba, sempre più nella parte del Che rispetto all'«ondivago» Luigi. Gli viene rimproverata la mossa dell'impeachment, che fin da subito non è piaciuta nel movimento e tantomeno al fondatore, Beppe Grillo. Se anche la ripresa del progetto Conte dovesse fallire, le sorti della leadership di Luigi - se l'aria è questa - si farebbero davvero problematiche. I fedelissimi di Di Maio sono molto preoccupati: «Il gruppo così non lo controlliamo». Non si aspettavano, né loro né il leader, un quadro di questo tipo. Ossia: «la polveriera».
Di Maio è in affanno di fronte ai fendenti, cerca di rassicurare così il coro di chi gli dice che «manca un luogo decisionale, e il verticismo ha sempre ucciso le esperienze politiche, anche le migliori»: «Troveremo modi di comunicazione più diretta tra di noi. Siamo tanti, ed è difficile fare assemblee per decidere. Cercherò di trovare metodi alternativi». Tra le voci critiche c'è per esempio quella del deputato Andrea Colletti che chiede di «ascoltare anche chi da una lettura diversa» da quella del mainstream e voluta dai vertici. «Ascolta pure i rompiscatole», dice Colletti. Il clima questo è. Ossia quello del «ci ha portato in un vicolo cieco, caro Luigi». L'altro giorno è stata anche organizzata un'assemblea carbonara in Senato. Non una riunione in agenda, ma un'iniziativa autoconvocata. Danilo Toninelli, l'ex deputato vicino a Luigi Di Maio e ora capogruppo al Senato - definito «il commissario politico» da chi non lo ama - non era presente. Escluso dalla riunione. «Non siamo dei pigia bottoni», sarebbe sbottata una neo parlamentare con dei colleghi al secondo mandato. A dare in escandescenze per la mancanza di chiarezza, e la linea politica «clamorosamente sbagliata», il celebre senatore Gregorio De Falco sopra ogni altro, tra i più duri per la gestione del post-voto. Una senatrice di nuovo corso, durante l'assemblea, è scoppiata in lacrime denunciando la mancanza di trasparenza: «Sono arrivata a Roma credendo di replicare la condivisione che ho sempre apprezzato nei meetup e qui apprendo le notizia dai giornali, mi sembra un incubo. E quando da casa mi chiedono che cosa accade?, ho quasi imbarazzo nel dire che non so un fico secco».

Giorgetti pressa Salvini Lui: no ai ricatti tedeschi

ROMA «Ci penserò», dice a sera Matteo Salvini. La proposta Di Maio su Paolo Savona riapre i giochi? Con i suoi il leader leghista è assai più problematico e in sostanza prefigura un no. «Ma io - è il suo ragionamento - perché devo cedere a un ricatto della Germania quando su quel nome eravamo tutti d'accordo che fosse la persona migliore per attuare il nostro programma di governo? Un governo - continua il ragionamento - che senza di lui nascerebbe zoppo». Avallare la proposta Di Maio, secondo Salvini servirebbe solo «a togliere le castagne dal fuoco a Mattarella». «Sarebbe una manovra di palazzo», ha scandito con i suoi, «e noi alle manovre di palazzo non ci stiamo». Detto questo, visto che Di Maio ha cambiato idea, Salvini è pronto a parlarne a voce con lui prima di una decisione finale. Ma, ecco, quale sarà è abbastanza chiaro viste le premesse.
LINEA DURISSIMA
Linea durissima: «Non cediamo alle richieste. Non importa se Di Maio ha cambiato idea, noi andiamo dritti, abbiamo presentato una squadra e quella resta», ha spiegato anche ai fedelissimi. Ma il muro eretto dal giovane Matteo potrebbe incrinarsi su un'altra proposta. Lo lascia presagire un suo labiale carpito durante un comizio elettorale («se va bene a Di Maio va bene anche a me»). Lo lasciano intendere diversi big' del partito di via Bellerio.
La proposta è firmata da Giancarlo Giorgetti ma non ha ancora ricevuto il placet del leader. Spacchettare il Mef: lasciare Savona alle Finanze e affidare ad un esponente della Lega il Tesoro. Magari allo stesso Giorgetti che altra ipotesi potrebbe svolgere il ruolo di sottosegretario alla presidenza. Giorgetti ieri ha tessuto la tela, triangolando' con il Colle e con i vertici M5s. Dal partito di via Bellerio hanno smentito un suo incontro con il presidente della Repubblica. Nella Lega c'è chi riferisce che Giorgetti non abbia il pieno mandato a trattare da parte di Salvini ma in ogni caso quel che trapela è una distanza sempre più evidente con il suo braccio destro.
La verità è che Giorgetti si sta facendo portavoce del malessere di una gran parte del gruppo parlamentare che non vuole più sentir parlare di elezioni anticipate e spinge per trovare una soluzione. «Risolviamo questa situazione, troviamo un accordo. M5s è pronto a qualsiasi soluzione per far partire questo governo», il pressing di Giorgetti su Salvini. Il segretario da una parte non vorrebbe cedere ai diktat arrivati in questi giorni ma deve fare i conti con i mal di pancia che arrivano anche dalla base. Sindaci, amministratori, imprenditori che fanno riferimento alla Lega chiedono di uscire dall'impasse. Di partire con il governo M5s-Carroccio. Ma Salvini al momento sembra prediligere la strada delle elezioni anticipate. Per passare all'incasso e raddoppiare i consensi. Evitando di addentrarsi in un governo che avrebbe una navigazione difficile e la necessità di prendere provvedimenti non facili. Un nuovo ricorso ai cittadini gli permetterebbe di presentarsi come leader del centrodestra.
Non è un caso che Berlusconi abbia addirittura accarezzato l'idea delle urne a luglio. Uno scenario simile avrebbe frenato Salvini dalla tentazione di costituire una lista unica ed avere mani libere non solo sulle quote da assegnare nei collegi ma anche sulle candidature. «A questo punto meglio il voto subito», ha spiegato il Cavaliere ieri ai big' radunati a palazzo Grazioli. L'alleato vuole sì le urne per avere un mandato più ampio, tuttavia non ora. La partenza di un esecutivo Cottarelli lo metterebbe nelle condizioni di lucrare in campagna elettorale contro un altro governo tecnico, sostenuto questo l'auspicio dal Pd. Infine un voto in estate comporterebbe un'alta astensione al nord, dove le fabbriche chiudono il 27 luglio.
Quindi no alle urne sotto l'ombrellone, sì in autunno. Ma non è solo Giorgetti a consigliare Salvini ad avere una linea più prudente anche perché con il voto a breve potrebbe peggiorare lo scenario economico. La Lega questa la tesi pagherebbe al pari del Movimento 5 stelle la caduta delle Borse e l'aumento dello spread. Giorgetti ieri ha incontrato anche Di Maio. Prospettandogli pure la soluzione di un Salvini premier.

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