Tre ore di interrogatorio. L’ex direttore generale Cristina Gerardis parla di Rigopiano davanti al procuratore capo di Pescara Massimiliano Serpi e il pm Andrea Papalia. E’ il 26 maggio scorso ed è lei a chiedere di essere sentita, dopo aver saputo di essere stata indagata in seguito a una memoria presentata dal governatore Luciano D’Alfonso. Lei è responsabile della mancata attuazione della Carta valanghe, scrive il presidente-senatore, lei doveva dare attuazione al programma di governo.
Va con le carte in mano, la Gerardis: nel programma di governo, dice, non c’è traccia della Carta valanghe, e non c’è uno straccio di stanziamento neppure nel bilancio regionale. Il direttore generale quindi non avrebbe potuto attuare un bel niente. E’ una guerra senza esclusione di colpi, tra l’ex dg della Regione e il presidente, cominciata probabilmente dai tempi del processo di Bussi dove lei ha rappresentato la parte civile.
“La carta delle valanghe – dice ai magistrati l’ex direttore generale – non era presente nel programma di governo e nemmeno negli obiettivi del Dipartimento di cui fa parte la Protezione civile. Non ricordo nemmeno di averne mai sentito parlare”.
E poi certo D’Alfonso non era un presidente che lasciasse fare ad altri:
“Di solito – ha aggiunto Gerardis, che ora lavora al Ministero dell’Agricoltura- il presidente perseguiva con vigore gli obiettivi da lui individuati, come ad esempio la fondovalle Sangro e il Piano cave. Sulla carta valanghe invece da D’Alfonso non venne nessun input: e se la questione mi fosse stata sottoposta ne avrei discusso con il Dipartimento competente come èavvenuto per il Piano cave. Per il quale D’Alfonso esercitò pressioni sul dirigente a tempo determinato che era preposto alla realizzazione di quel piano, tant’è che per volontà sua il dirigente non fu confermato. Voglio dire: quando gli obiettivi mi venivano mostrati prestavo la dovuta attenzione”.
Ma non c’erano neppure soldi stanziati allo scopo:
“Sono certa – ha detto ancora l’ex dg – che non c’erano risorse stanziate sul capitolo inerente il finanziamento della carta valanghe. Dopo la tragedia di Rigopiano, il dirigente Belmaggio mi disse che il capitolo relativo all’ufficio valanghe era sparito dal bilancio regionale e perciò era impossibile inserirlo nei programmi, vista l’assenza di fondi”.
E la carta valanghe non fu inserita neanche nel masterplan.
Ma va anche oltre la Gerardis. Col prepensionamento dei dipendenti regionali, ha sostenuto D’Alfonso, si sarebbero individuati fondi per finanziare la Carta. Gerardis smentisce:
“Intanto i prepensionamenti sono serviti per fare nuove assunzioni poco dopo. Poi la verità è che quei prepensionamenti hanno lasciato moltissimi uffici vuoti per un certo periodo, tra cui anche quelli relativi all’allerta meteo e valanghe. Di sicuro i giorni precedenti la tragedia di Rigopiano quegli uffici erano vuoti e nessuno si occupò di diramare l’allerta valanghe”.
Come dimostrerebbe il fatto che prima del 18 gennaio non ci fosse alcun messaggio di allerta valanghe ma solo uno del 19, il giorno dopo la tragedia. Insomma, secondo l’ex dg, con i prepensionamenti per la Regione non vi fu alcun risparmio perché subito dopo “fu costretta ad assumere”. Poi, guarda caso, subito dopo la tragedia, gli uffici furono ricostituiti e fu avviato l’iter per la Carta.
Sabatino Belmaggio
I soldi, ha aggiunto la Gerardis, si sarebbero potuti trovare se solo la Carta valanghe fosse stata inserita nel Masterplan. Ma niente:
“Furono richiesti per esempio 16 milioni di euro per il museo della pazzia di Teramo ma nulla per la Carta valanghe”.
ps: insomma, per D’Alfonso quella memoria si è rivelata un boomerang.