Le cifre e le modalità sono rimaste più o meno le stesse, ma da Atac hanno assicurato di avere risolto tutte le criticità rilevate dalla Procura - prima - e dai giudici - poi - sul piano di concordato preventivo presentato dalla municipalizzata romana dei trasporti. Ieri di fronte ai giudici e di fronte ai delegati agli affari civili della di piazzale Clodio, durante un'udienza a porte chiuse con i giudici Antonino La Malfa, Lucia Odello e Luigi Argan, è scattata la corsa contro il tempo per salvare Atac dal crac e per ripianare un debito monstre da un miliardo e 300 milioni di euro. I vertici dell'azienda hanno consegnato al Tribunale fallimentare un «piano bis». Ora, il procuratore aggiunto Rodolfo Sabelli e il pm Stefano Rocco Fava avranno 15 giorni di tempo per studiare le carte e formulare un nuovo parere, dopo la bocciatura arrivata in marzo dai magistrati: perizie sballate, da rifare, cifre da ricalcolare, profili di «inammissibilità» e, addirittura, «operazioni non conformi a legge», come la decisione di trattare il Comune di Roma come un creditore privilegiato. Sono tutte criticità alle quali - hanno precisato in udienza i manager Atac - sarebbe stato posto rimedio. Le perizie, giudicare insufficienti e troppo vaghe, sono state riviste e integrate. Per completare quella sugli immobili aziendali - sulla quale i pm sono stati particolarmente critici - sarebbero stati fatti nuovi rilievi, ma sarebbero anche stati utilizzati anche dati e studi effettuati dalla giunta Marino.
I 55 MILIONI ALLE BANCHE
L'azienda non ha, invece, fatto passi indietro sui 55 milioni restituiti alle banche il giorno prima della richiesta di concordato. La decisione dei giudici - se la tabella di marcia verrà rispettata - potrebbe arrivare entro un mese.
Il d-day per salvare Atac arriva in un periodo difficile per la municipalizzata, travolta da due inchieste in cui, oltre alla scarsa manutenzione, i pm ipotizzano anche azioni di sabotaggio interne. Manomissioni avvenute in particolare negli ultimi due anni, dietro alla quali, per gli inquirenti, si nasconderebbe l'ombra del boicottaggio. Il pm Mario Dovinola, che nei giorni scorsi ha ricevuto le denunce di quattro manager dell'azienda comunali cui si calcolano, dati alla mano, le percentuali di guasti e malfunzionamenti che dal 2016 hanno messo in ginocchio il trasporto pubblico romano, vuole stabilire se le manomissioni siano in qualche modo collegate al piano «salva Atac», che ha creato malumori tra dipendenti e creditori. I guasti sospetti, da novembre, sarebbero infatti aumentati di circa il 60 per cento. Per non parlare dell'altro fronte dell'inchiesta: quello sui tre bus andati a fuoco tra l'8 e il 9 maggio. In questi giorni la Procura sta raccogliendo i casi di incendi avvenuti dal 2016 ad oggi, per accorparli in un unico fascicolo e trovare analogie.
LA REAZIONE
Sul tema «concordato», i vertici dell'azienda sono ottimisti. «Sono molto fiducioso - ha detto il presidente di Atac, Paolo Simioni, al termine dell'udienza - abbiamo presentato la documentazione che riteniamo necessaria per rispondere a tutte le domande e ai chiarimenti che erano stati richiesti». Ora la palla passa di nuovo alla Procura: entro il 15 giugno i pm depositeranno un nuovo parere sul concordato. Dopo l'eventuale via libera dei giudici, il piano passerebbe al vaglio dell'assemblea composta da 1.200 creditori. In caso di bocciatura, si aprirebbe la strada al fallimento aziendale e all'amministrazione straordinaria. Agli atti, comunque, manca ancora un tassello importante: il bilancio del 2017, approvato dal Cda, ma non ancora dall'assemblea dei soci.
Gioielli in vendita e incognita bond ma nelle carte anche l'ipotesi default
Bond da quasi mezzo miliardo di euro per i creditori (una sorta di pagherò che Atac promette di onorare dal 2022 al 2036), 18 vecchi depositi affidati a un curatore del Tribunale per venderli e fare cassa, spazi più larghi per la pubblicità sui bus, il maxi-debito col Campidoglio spalmato fino al 2055. Eccolo il piano rivisto e corretto presentato ieri ai giudici fallimentari dalla municipalizzata dei trasporti. Nel faldone consegnato ai magistrati c'è anche la carta don't panic - niente panico - da scodellare sul tavolo se il concordato fallisse rovinosamente. Uno scenario che nessuno si augura, né nel quartier generale della società in via Prenestina né tantomeno nel Campidoglio pentastellato di Virginia Raggi. Ma un piano B da tenere in tasca serve. Perché la procedura in cui la giunta grillina si è imbarcata è comunque rischiosa e anche il Tribunale ha chiesto, perfino nel decreto del marzo scorso, di preparare una via d'uscita, se tutto dovesse precipitare.
L'Atac allora ha messo a punto la strategia per assicurare la continuità del servizio in caso di liquidazione, scenario che scatterebbe col concordato bocciato. In quel caso, a gestire la partecipata da 11 mila dipendenti sarebbe un'amministrazione straordinaria sotto l'egida del governo, che resterebbe in carica per due anni e mezzo, il tempo necessario per consentire al Campidoglio di assegnare una gara europea. Il nuovo gestore poi comprerebbe bus e treni, col ricavato dei quali l'Atac finirebbe di ripagare i creditori. Ma è il bottone di emergenza che nessuno vorrebbe schiacciare.
SUL MERCATO
Ieri il presidente di Atac, Paolo Simioni, si è detto «molto fiducioso» perché il concordato vada a segno. La strategia è stata ridisegnata in tempi record negli ultimi 60 giorni. Uno dei passaggi chiave è la vendita degli immobili non più «strumentali», le ex rimesse, da San Paolo a piazza Ragusa, che verrebbero subito affidate a un curatore del Tribunale per essere piazzate sul mercato tra il 2020 e il 2021.
Per aumentare l'efficienza, l'azienda ha deciso di spedire 100 impiegati a fare i controllori sui bus, altri 300 amministrativi saranno riconvertiti a mansioni operative, per tutti l'orario di lavoro passerà da 37 a 39 ore settimanali (finalmente, nel resto d'Italia è così da anni).
GLI SPONSOR
Per aumentare i ricavi della pubblicità, i 320 bus appena ordinati saranno a due porte e avranno spazi più larghi per i tabelloni degli sponsor. Del resto negli ultimi anni gli incassi delle promozioni sono crollati, si è passati dai 16 milioni del 2010 agli 8 milioni del 2016.
Il cuore del progetto presentato ai giudici è il piano di rientro dal debito monstre di 1,3 miliardi. Il Campidoglio, che oltre a essere il proprietario di Atac è anche il suo principale creditore, riavrà i suoi 469 milioni solo dal 2036 al 2055, come svelato dal Messaggero. I primi a essere pagati saranno i creditori privilegiati, il Fisco e altri enti pubblici, che saranno rimborsati di 150 milioni entro un anno dall'accettazione del concordato. Atac dovrà tirare fuori altri 194 milioni per i creditori privati entro il 2021, mentre dal 2022 scatteranno gli «strumenti finanziari», le obbligazioni legate all'aumento degli incassi. I famosi bond, che si estinguerebbero tra 18 anni. Valgono oltre 400 milioni di euro, sulla carta.