ROMA Una telefonata «lunga e cordiale» come non ne facevano da un pezzo. Ieri sera Matteo Salvini ha chiamato Silvio Berlusconi spiegandogli la squadra e i ministri uno per uno. Soprattutto, prendendo un impegno: «Con il governo l'alleanza tra noi continua, esiste nelle regioni e in centinaia di città, un patrimonio che va tutelato per rispetto del voto. Ti prometto che difenderò il centrodestra».
E' soprattutto l'ala del nord ad avere dubbi all'interno della Lega sull'intesa di governo con M5S. I big' che governano le regioni con il centrodestra ed esponenti di primo peso come lo stesso Giorgetti (che si è comunque speso fino all'ultimo affinché si raggiungesse l'accordo con i pentastellati) hanno espresso non poche perplessità: «Appena attiviamo il pulsante start arriverà di tutto contro di noi».
FATTORE DRAGHI
Si guarda al governatore della Bce, Draghi, visto che ai vertici sono arrivate voci di manovre ordite direttamente da Francoforte per bloccare l'esecutivo giallo-verde. Si punta il dito contro «la speculazione finanziaria che in questi giorni è partita dagli Stati Uniti e dall'Inghilterra», si teme che il Quirinale possa comunque tenere il governo sotto scacco, delimitando il perimetro d'azione. Nel mirino, per esempio, è finito da tempo il presidente della Commissione europea Juncker. «Non illudiamoci troppo sottolinea un altro big del partito -. Abbiamo una autonomia limitata, ci spareranno addosso subito. E dovremmo prendere provvedimenti delicati con poche risorse a disposizione». I dubbi sono anche di Salvini, confidano i fedelissimi. Avrebbe preferito avere un mandato più ampio, andare alle elezioni per raddoppiare i consensi, ma la base e la stragrande maggioranza dei deputati e dei senatori spingevano per andare al governo, per prendere il treno ora evitando il rischio di urne a luglio o la nascita di un esecutivo tecnico. Per questo motivo il muro eretto sulla figura di Savona all'Economia è stato abbattuto. Inutile perseverare: «Non avevamo altra scelta. La gente non avrebbe capito. I nostri vogliono che realizziamo il programma», ha sostenuto Salvini. Rivendicando però la presenza di Tria: «Con lui abbiamo di fatto due Savona per trattare con l'Ue...».
A cambiare le carte in tavola è stata anche la posizione di Di Maio che è andato due giorni fa al Quirinale per perorare la causa dello spostamento dell'economista. «Ha cercato di lasciarci il cerino in mano, ha sbagliato», sottolinea un altro esponente del partito di via Bellerio.
Tensioni anche sul nodo Meloni'. Salvini ha insistito con M5s ma non c'è stata alcuna apertura dei grillini. Mentre FI e Pd già stanno trattando per un patto d'opposizione in Aula e nelle Commissioni, il timore è che i numeri potrebbero non bastare.
Ma Salvini ormai tira dritto. Pronto anche allo scontro con i poteri forti e con le istituzioni europee.
PREOCCUPAZIONI
«A Bruxelles Moavero sarà accompagnato da Savona. Non intendiamo abbassare la guardia», la promessa del leader del partito di via Bellerio che avrebbe preferito al pari di Di Maio puntare sull'ambasciatore italiano in Russia Terracciano. Ma è proprio il braccio di ferro con Bruxelles a preoccupare i leghisti. «La Germania il ragionamento guiderà il fronte di chi vuole affondarci subito. Rischiamo di non riuscire neanche a partire». Timori anche per le future mosse di M5S considerato soprattutto dall'ala che vuole tenere unita la coalizione del centrodestra troppo diviso al primo interno e pieno di contraddizioni. «Non sappiamo se ci possiamo fidare», ragiona più di un big' del Carroccio. Ma Salvini ancora una volta ha rassicurato i malpancisti: «Conte non farà nulla senza il nostro consenso. Se Di Maio tergiversa andremo subito al voto».
M5S, la rivolta dei 50: Di Maio cambi o in aula la maggioranza rischia
ROMA Nelle stesse ore in cui Luigi Di Maio sembra finalmente essere riuscito nell'impresa di formare il nuovo governo giallo-verde con Matteo Salvini, pende sulla sua leadership una spada di Damocle. Pesantissima. Un cortocircuito all'interno del Movimento che rischia di mettere a repentaglio l'equilibrio così faticosamente raggiunto. È solo l'anticipo di una tempesta che rischia di travolgere non tanto e non solo Luigi Di Maio, ma che mira al cuore della gestione del Movimento: ossia Davide Casaleggio, la struttura comunicativa e l'inner circle del giovane leader pentastellato.
L'OBIETTIVO
In queste ore i 50 parlamentari che compongono l'ala dura e pura del Movimento hanno fissato i punti nodali della loro road map che ha l'obiettivo di abbattere la gestione «verticistica» e improntata al «pensiero unico» del Movimento. Nel papello dei rivoltosi, c'è al primo punto la richiesta di smantellare il Consiglio direttivo del M5s «fatto di nominati», con la decadenza dall'incarico tutti i capigruppo e i vice di Camera e Senato del M5s, mai eletti dall'assemblea parlamentare, legittimati da uno Statuto giudicato dai rivoltosi «anticostituzionale» e «liberticida che non premia i più capaci, ma solo i più fedeli».
La scintilla è stata innescata da Di Maio nell'ultima assemblea. «La condivisione è difficile avrebbe spiegato il capo politico io mi confronto con i grandi del Movimento». «Una cosa gravissima spiega uno dei rivoltosi - in questo balletto che dura ormai da tre mesi sono due le persone con le quali Luigi parla. E sono due non eletti: Casaleggio e Casalino». Nella blacklist dei malpancisti finisce anche la struttura comunicativa del M5S, ulteriore esempio «dell'ipertrofia del controllo e del comando». «Tutti quelli che non passano attraverso la struttura comunicativa di Rocco vengono stalkerizzati e messi in una condizione di disagio emotivo».
SOTTO TIRO
Sotto tiro finiscono anche le continue dirette Facebook di Luigi Di Maio, che hanno creato un meccanismo simile «a quello del confessionale del Grande Fratello. È la mortificazione del pensiero in nome di una narrazione unica che non ammette deroghe». Ma l'attacco è più duro è riservato a Davide Casaleggio e alla sua azienda. «Portavoce e staff del presidente del Consiglio non possono essere scelti dalla Casaleggio associati. Un'azienda privata non può controllare la presidenza del Consiglio». Nel mirino finisce anche l'associazione Rousseau. «Una volta al governo è la tesi sul tavolo - eventuali strumenti di democrazia diretta dovranno essere affidati a un dipartimento ministeriale pubblico, trasparente e controllato da terzi». Ma adesso che il governo Di Maio-Conte-Salvini sembra ormai cosa fatta, che cosa succederà? La risposta è da brividi. «Valuteremo punto su punto le leggi da votare, non firmeremo fiducie in bianco». «Ma Luigi sostengono i ribelli non è in discussione al momento». Il vero obiettivo, concludono, è «liberarlo dall'abbraccio mortale dello staff. Solo così potrà dimostrare di essere un vero leader».