ROMA «È ora di far ripartire il Paese, di mettere da parte la Fornero, di istituire il reddito di cittadinanza e il salario minimo orario. E lo faremo». Così si è espresso il nuovo superministro Luigi Di Maio subito prima del giuramento. Aggiungendo poi, all'uscita del Quirinale, di volersi «mettere al lavoro per creare lavoro». Il capo politico del Movimento Cinque Stelle è alla guida sia del dicastero dello Sviluppo economico che di quello del Lavoro; il passaggio di consegne con due ex titolari avverrà solo la prossima settimana ma il leader grillino ha detto che già ieri sera si sarebbe messo all'opera.
CAVALLO DI BATTAGLIA
Dalle priorità enunciate, pare che al momento l'impegno prevalente di Di Maio sarà proprio nel ministero retto fino a ieri da Giuliano Poletti (non sono stati menzionati ad esempio temi urgenti come Ilva o Alitalia). Il reddito di cittadinanza è il cavallo di battaglia della campagna elettorale del M5S e dunque è del tutto naturale la volontà di aprire subito il dossier, che comunque avrà bisogno di tempo per essere attuato; il primo passaggio sarà inevitabilmente il riassetto dell'attuale rete dei centri per l'impiego, snodo fondamentale per il nuovo strumento di welfare se, come indicato dagli stessi grillini, dovrà essere congegnato in modo tale da non risultare un disincentivo all'occupazione. Quanto alla legge Fornero, nel contratto per il cambiamento sottoscritto con la Lega è specificato che non è in programma l'abolizione, ma una revisione che punta sostanzialmente a reinserire la vecchia pensione di anzianità, con requisiti un po' più severi rispetto a quella in vigore fino al 2011. Il capitolo previdenza dovrebbe però comprendere anche una sorta di pensione di cittadinanza, di fatto un potenziamento fino alla soglia di 780 euro al mese degli attuali trattamenti minimi e sociali. Naturalmente di tutti questi temi il superministro Di Maio dovrà parlare che con il suo collega titolare dell'Economia. Intanto nei prossimi giorni si potrà iniziare a capire come intende dividersi tra i due dicasteri, che in realtà sono quattro, perché l'attuale Sviluppo economico (Mise) è già il risultato dell'unione di tre strutture ministeriali, decisa con la riforma Bassanini del 1999: oltre alla vecchia Industria, comprende Commercio estero e Comunicazioni. Le leve per agire sul progetto del reddito di cittadinanza si trovano essenzialmente al Lavoro, le cui competenze riguardano relazioni industriali, ammortizzatori sociali, previdenza, lotta alla povertà, immigrazione e terzo settore.
Il ministero finora guidato da Carlo Calenda si occupa invece di energia, politica industriale (compresi gli incentivi alle imprese), concorrenza e tutela dei consumatori, internazionalizzazione delle imprese e politica commerciale e poi ancora comunicazioni postali e radiotelevisive e tecnologie dell'informazione. Queste ultime deleghe, ereditate dal ministero delle Comunicazioni, hanno inevitabilmente una particolare e delicatissima valenza politica, visto che nel settore delle tv si concentra il grosso degli interessi del Berlusconi imprenditore.
IL MODELLO ORGANIZZATIVO
Entrambi i dicasteri hanno scelto il modello organizzativo basato sulle direzioni generali (non esistono quindi Dipartimenti) e sono coordinati da un segretario generale. Quali sono le aree di azione potenzialmente sovrapponibili? Una sinergia potenziale ma piuttosto evidente riguarda le crisi industriali. Attualmente al Mise sono aperti oltre 150 tavoli per aziende più o meno grandi: la gestione concreta di queste situazioni mette in gioco negoziati tra imprese e sindacati, possibili incentivi e ammortizzatori sociali: già oggi è richiesto un coordinamento più o meno formale. Altre aree invece sono più distanti ed anche in chiave di spending review gli unici risparmi potrebbero venire da voci trasversali quali il personale o l'informatica. In ogni caso, se si farà la scelta politica di far nascere alla fine un solo super-ministero, questo processo sarà lungo: riorganizzazioni e regolamenti, che devono passare dal Consiglio dei ministri, potrebbero richiedere anche un anno. L'alternativa (e comunque inevitabilmente la soluzione provvisoria in una prima fase) è quella di un ministro che si fa in due, mantenendo strutture separate e due distinti capi di gabinetto e alternandosi tra le due sponde di Via Veneto. Come fece nel governo Monti Corrado Passera quando ebbe contemporaneamente la responsabilità dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture e Trasporti.
Salvini: pronti a tagliare i fondi per l'accoglienza
ROMA La prima cosa da fare «lunedì in ufficio?» Matteo Salvini, neo ministro dell'Interno sta entrando a Palazzo Chigi, dopo aver giurato davanti al presidente della Repubblica. Risponde alla domanda mostrando di avere le idee chiare: «Io in ufficio ci vado stasera, non lunedì». E infatti, il nuovo capo del Viminale - uno dei dicasteri più delicati e importanti del governo - ancora prima di partecipare al Cdm per il rituale passaggio della campanella - ha convocato per le 20 tutti i direttori dei Dipartimenti, da quello dell'Ordine e la sicurezza pubblica a quello delle Libertà civili e dell'immigrazione. Un'occasione per conoscere chi lavorerà con lui, ma anche per porre le basi per l'attività futura. Sono tantissime le cose da fare, «riutilizzo dei beni confiscati alle mafie, i minori, la presenza delle forze dell'ordine a livello territoriale». «Insomma non ci annoieremo», sottolinea il leader del Carroccio, subito dopo essersi seduto alla scrivania che fu di Giolitti. Sul tavolo ancora pochissime cose, un grande computer e un documento sui programmi del ministero preparato per il suo arrivo.
NESSUN ACCORDO
Oggi sarà alla Parata militare, poi di nuovo al lavoro, in vista di una lunga serie di impegni. A cominciare da quello del 4-5 giugno previsto a Lussemburgo, il vertice dei ministri europei della Giustizia e degli affari interni, dove si discuterà del regolamento sull'asilo e della revisione del Trattato di Dublino. «Molto probabilmente non potrò esserci - spiega - perché si vota la fiducia in Senato e non è bello che il vice premier non sia presente. Comunque, chi andrà al mio posto porterà la voce contraria dell'Italia. Perché non è come si è detto finora: la riforma sulla quale si sta discutendo, invece di aiutarci, continua a crearci un forte stress. Quindi, se ci sarò è per dire no e per migliorare, altrimenti qualcuno al mio posto dirà no». L'idea di Salvini sarebbe quella di avvicinarsi alla linea del blocco di Visegrad, il gruppo di paesi dell'Est che rifiutano le relocation e sollevano muri per fermare i flussi. «Ma non sono venuto qui con la ramazza - aggiunge - Io entrerò in punta di piedi. Ci sono diversi dossier aperti, passerò i primi giorni ad ascoltare, a capire, a valorizzare. I numeri sono discreti, però è pur vero che ogni anno vanno in pensione 3500 agenti della polizia di Stato e ne viene reintrodotta solo una minima parte. Per cui o si interviene per rinfoltire, ringiovanire in termini di uomini, di mezzi, di formazione, oppure sarà un problema».
Domani il ministro sarà in Sicilia per la campagna elettorale, e anche per visitare i luoghi dove avvengono gli sbarchi: Pozzallo, Catania, Siracusa. Al Viminale il suo arrivo è guardato con attenzione. Nessun cambiamento è previsto all'orizzonte. Con l'uscita di Marco Minniti, sono andati via il prefetto Mario Morcone (per raggiunti limiti di età), profondo conoscitore della questione immigrazione, e il prefetto Felice Columbrino che da dopodomani sarà a capo dell'Ispettorato del Vaticano. Al posto di quest'ultimo è subentrato un altro prefetto, Paolo Canaparo.
500 MILA IRREGOLARI
Il leader del Carroccio ha incontrato nei giorni scorsi il capo della Polizia Franco Gabrielli e a lui ha chiesto particolare collaborazione, vista la situazione internazionale e la minaccia del terrorismo islamico che non accenna a diminuire. Ieri l'incontro è stato allargato a tutti i direttori dei Dipartimenti. Le priorità sono quelle contenute nel contratto di governo firmato con Luigi Di Maio, dove si parla di «circa 500mila» irregolari in Italia e si giudica «prioritaria una seria ed efficace politica dei rimpatri». Sono poco più di 6mila in media ogni anno. Il problema è che per rimandare a casa gli irregolari servono accordi con i Paesi di provenienza. L'Italia ne ha siglati diversi, ma per aumentare l'efficacia delle intese servono più fondi. E allora dove reperirli? «Vorrei - è la sua idea - dare una bella sforbiciata a quei 5 miliardi di euro destinati all'accoglienza. Mi sembrano un po' tantini». Le eventuali ripercussioni nei rapporti con la Chiesa non sembrano preoccuparlo. «Con loro - dichiara - ci sono molte più vicinanze che distanze perché l'accoglienza, nei limiti, nelle regole e nelle possibilità, penso sia interesse di tutti. Gli immigrati che campeggiano qui a pranzo e cena sono evidentemente troppi».