ROMA Circa 30 mila pensionati interessati, con un risparmio per lo Stato pari a 115 milioni. Potrebbero essere questi i numeri essenziali dell'operazione pensioni d'oro contenuta nel programma del nuovo governo e ribadita dallo stesso presidente del Consiglio Giuseppe Conte nel suo intervento al Senato. Dunque i benefici per il bilancio pubblico sarebbero contenuti, ma per gli interessati la penalizzazione netta (in media intorno al 5-6 per cento) sarebbe più che compensata in caso di entrata in vigore della cosiddetta flat tax che più correttamente è una tassazione del reddito basata su due aliquote, 15 e 20 per cento.
L'EFFETTO
Il progetto della maggioranza gialloverde prevede di intervenire sui trattamenti previdenziali superiori ai 5 mila euro netti mensili: l'idea è decurtare la quota non giustificata dai contributi versati. Di fatto dunque gli assegni verrebbero ricalcolati con il sistema contributivo, procedura alquanto complessa che naturalmente può dare esiti anche molto diversi tra pensionato e pensionato: sulla carta qualcuno potrebbe vedersi riconoscere un importo effettivo maggiore di quello percepito, anche se nella maggioranza dei casi l'effetto sarebbe negativo. Va ricordato che con il sistema contributivo i versamenti effettuati nella carriera lavorativa vengono rivalutati in base ad un tasso di rendimento collegato a quello di crescita del Pil nominale e il capitale ottenuto viene poi trasformato in rendita; mentre con il retributivo l'importo della pensione dipende dalla retribuzione media degli ultimi dieci anni e dalla lunghezza della carriera lavorativa.
Una simulazione su questo punto del programma è stata effettuata dalla società Tabula, guidata da Stefano Patriarca (fino a poco tempo fa consulente della presidenza del Consiglio). Vediamo come si sviluppa. Una pensione da 5 mila euro netti mensili corrisponde grosso modo ad un importo lordo di 8.500 euro: le persone che hanno un reddito pensionistico superiore a questa soglia (compreso il caso di più trattamenti) sono circa 30 mila in base ai dati Inps. Lo squilibrio contributivo - e di conseguenza la penalizzazione che andrebbe applicata ad ogni pensione per azzerarlo - si aggira per la generalità degli assegni intorno al 25 per cento. Ma contrariamente a quanto spesso si crede, lo squilibrio è minore per le pensioni alte, perché ad esse sono applicate aliquote di rendimento meno generose: in altre parole gli anni lavorati vengono valorizzati in proporzione meno. Dunque si può ipotizzare al di sopra dei 5 mila euro netti uno squilibrio intorno al 5-6 per cento.
Ad esempio una pensione di 10 mila euro lordi, che in termini netti ne vale circa 5.840, sarebbe decurtata di 285 euro netti al mese, ovvero 3.700 l'anno. Complessivamente la minore spesa pensionistica sarebbe intorno ai 210 milioni, ma visto che lo Stato incasserebbe meno Irpef (perché i redditi si riducono) il beneficio effettivo scende a 115 milioni.
IL CONTRAPPESO FISCALE
Nel contratto tra Lega e M5S c'è però anche l'Irpef a due aliquote (15 e 20 per cento) che avvantaggerebbe in particolare i redditi medio-alti e dunque anche le cosiddette pensioni d'oro. Lo stesso trattamento previdenziale preso in considerazione sopra paga attualmente un'aliquota media di circa il 38 per cento e dunque avrebbe un vantaggio in termini netti di oltre 25 mila euro, ben superiore all'importo venuto meno per il ricalcolo contributivo. Alla fine, sempre ovviamente ragionando in termini medi, il saldo per gli interessati con questo livello di reddito sarebbe favorevole per quasi 22 mila euro.
Resta naturalmente da capire se il governo intraprenderà la strada del ricalcolo, che oltre ad essere non facilissima da realizzare tecnicamente, nei singoli casi concreti, rappresenterebbe anche un precedente significativo per la generalità delle pensioni. In alternativa potrebbe essere preferita la soluzione del contributo di solidarietà magari temporaneo.