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Pescara, 27/11/2024
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Data: 08/06/2018
Testata giornalistica: Il Messaggero
Previdenza integrativa: il 23 per cento non versa più. In aumento però il numero di chi ha aperto una posizione: sono 7,6 milioni di lavoratori

ROMA Cresce il numero degli iscritti ai fondi di previdenza ma aumenta anche la platea di coloro che non effettuano più versamenti e al tempo stesso sempre più giovani e donne rimangonoai margini del sistema previdenziale integrativo. A fine 2017 il totale degli iscritti alla previdenza complementare è pari a circa 7,6 milioni, in crescita del 6,1% rispetto all’anno precedente, per un totale di circa 8,3 milioni di posizioni in essere, inclusive di posizioni doppie o multiple, che fanno capo allo stesso iscritto. Ma 1,8 milioni di iscritti, ossia il 23,5% del totale, ha interrotto la contribuzione. È quanto emerge dalla relazione annuale del presidente della Commissione di vigilanza sui fondi pensione, Covip, Mario Padula, presentata ieri in Parlamento. I contributi per singolo iscritto ammontano, mediamente, a 2.620 euro l’anno. Sullo sviluppo della previdenza complementare in Italia, nel confronto internazionale, «pesano il grado di inclusione nel mercato del lavoro, le diseguaglianze economiche e sociali e i tratti distintivi del tessuto industriale del nostro Paese, primo fra gli altri quello della dimensione delle imprese», ha spiegato Padula, sottolineando quindi che «i giovani rimangono ai margini del sistema di previdenza complementare per effetto delle difficoltà ad entrare nel mercato del lavoro con continuità di rapporto e adeguatezza di retribuzione». Al di sotto dei 34 anni, la partecipazione alla previdenza complementare, pari al 19%, è di oltre un terzo inferiore rispetto alle fasce di età più mature e la contribuzione è meno della metà, ha illustrato Padula, aggiungendo che «lo stesso vale per le donne, la cui partecipazione è più bassa rispetto agli uomini: 25,4% contro 31,4% in media, forbice che si mantiene su tutte le classi di età, e la contribuzione è di un quinto inferiore».
RENDIMENTI BUONI Dalla relazione emerge anche che nel 2017 il rendimento dei fondi pensione è stato superiore a quello del Tfr mantenuto in azienda: il rendimento medio al netto dei costi di gestione e della fiscalità è stato del 2,6% per i fondi negoziali e del 3,3% per i fondi aperti a fronte di una rivalutazione del Tfr al netto delle tasse dell’1,7%. Per i Pip (piani individuali pensionistici) nuovi diramo III, il rendimento medio è stato del 2,2%. E il rendimento dei fondi è migliore di quello del Tfr lasciato in azienda anche prendendo in considerazione un periodo più ampio (2008-2017), con un 3,3% annuo per i fondi negoziali, del3%per i fondi aperti, del 2,8% per i Pip di ramo I e del 2,2% per quelle di ramo III contro il 2,1% per il Tfr.



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