ATESSA È il giorno in cui la rabbia prende il posto della speranza quello all'indomani della conferma, da parte della Honeywell, che i restanti dipendenti, circa 300, saranno tutti licenziati. È la conseguenza di una delle più tragiche vertenze degli ultimi anni in terra abruzzese che colpisce al cuore la Val di Sangro, una delle sue aziende di eccellenza e i suoi più validi lavoratori, altamente specializzati nella realizzazione di turbocompressori in una fabbrica che, nel suo ambito, era considerata la migliore del mondo. Tempi e ritmi di lavoro calcolati al secondo, con l'organizzazione metrica delle prestazioni arrivata anni prima che in Sevel, una filosofia che punta al miglioramento costante e continuo e maestranze che consideravano il luogo e i compagni di lavoro come una famiglia, non sono bastati a far desistere i vertici della multinazionale americana dal delocalizzare nell'est Europa, dove i costi del lavoro sono più bassi. E in un anno di vertenza, con gli ultimi due mesi di sciopero ad oltranza davanti ai cancelli della fabbrica, alla Honeywell si è visto di tutto. Perfino un accordo sottoscritto il 16 febbraio e divenuto, nel giro di poche settimane, carta straccia. Mercoledì sono partite tutte le lettere di licenziamento e da oggi i lavoratori Honeywell sono letteralmente in mezzo a una strada, senza la copertura degli ammortizzatori sociali e con due mensilità di retribuzione anticipate dall'azienda in attesa della cassa integrazione straordinaria, poi non concessa, che dovranno anche restituire. «La risposta della Honeywell è un atto ignobile che fa nuovamente emergere il disvalore di un'azienda a totale vocazione al "profitto", priva di sensibilità sociale e senza una predisposizione alla contrattazione», attacca Davide Labbrozzi (Fiom-Cgil), «attendiamo la convocazione immediata del tavolo ministeriale anche se consideriamo questa condizione irreversibile. Ora bisogna lavorare, di concerto con il Ministero, per la reindustrializzazione del sito. Nei prossimi giorni chiederemo l'intervento del prefetto affinché, di concerto col Ministero, si possa avere il massimo impegno nei percorsi che seguiranno». «Non accogliere la richiesta del Mise di continuare a tenere a libro paga i lavoratori è un affronto alle istituzioni italiane e un'ulteriore mortificazione ai lavoratori che per anni hanno contribuito a creare ricchezza e utili alla multinazionale», commenta Primiano Biscotti della Fim-Cisl, che ha chiesto un incontro urgente con il ministro del Lavoro Luigi Di Maio, «la Honeywell al tavolo ministeriale ci dice che ci sono aziende interessate alla riconversione e poi invia le lettere di licenziamento. Questo è il momento della rabbia, non solo verso l'azienda ma anche verso le istituzioni, locali e nazionali. La politica locale, senza distinzione di colore, non è riuscita a farsi valere sui tavoli ministeriali. Le varie interrogazioni regionali e parlamentari sono solo propaganda elettorale». «Dobbiamo puntare il tutto per tutto sulla reindustrializzazione», interviene Nicola Manzi (Uilm-Uil), «incalzare la Honeywell a liberare lo stabilimento dai macchinari e a selezionare un imprenditore con un progetto concreto e a lungo termine».